mercoledì 30 novembre 2011

Capitolo 2 - William





Lord Bryan Ffink Pfenninger Jones sedeva pensieroso nel suo lussuoso studio di Belgravia, quando fu richiamato alla realtà dal maggiordomo:
”E’ venuto suo nipote, Milord. Il signorino William chiede se può essere ricevuto”
Mancavano cinque giorni a Natale e poteva darsi che William fosse venuto per spillargli quattrini e fu tentato di non riceverlo. Per altro, si disse, William aveva quasi diciassette anni, fra non molto sarebbe divenuto maggiorenne e avrebbe potuto cominciare a domandarsi come mai titolo e fortuna di famiglia fossero passati allo zio dopo la morte dei genitori.
Lord Bryan su questo punto era abbastanza fiducioso: i suoi legali avevano falsificato così bene i documenti, che il giovane William avrebbe avuto grosse difficoltà a trovare le prove dei suoi raggiri. Ciò che invece lo preoccupava erano la simpatia e il fascino che il nipote aveva ereditati dalla madre, che tutti ricordavano come la più affascinante signora d’Inghilterra: William era lo studente più “popular”di Eton (che frequentava grazie ad un lascito della madre), idolatrato dai suoi compagni ed era il mitico capitano della loro squadra di cricket. Il conte temeva che i suoi amici, tutti rampolli di grandi famiglie, si sarebbero fatti un giorno in quattro per lui e che fra poco, divenuti maggiorenni, avrebbero potuto rivelarsi più pericolosi di una legione di avvocati.
“Fallo entrare” disse allora al maggiordomo.
William entrò e la magia che aveva accompagnato sempre l’ingresso di sua madre in una stanza si ripeté ancora una volta per lui sotto gli occhi di Lord Bryan: sembrava infatti che un raggio di luce misterioso si accendesse sempre appena William varcava una porta attirando su di lui l’attenzione di tutti e che lo accompagnasse ovunque andava.
“Salve William, buon Natale” – bofonchiò il conte –“Qual buon vento ti mena? Non dovresti essere a Eton ?”
Il sorriso solare di William era quasi abbagliante: “Salve zio, sono venuto perché sono preoccupato per Betty”
Se William aveva un difetto quello era proprio la sua ingenuità: il venire a parlare con lo zio dei propri problemi o di quelli della sorella, era un errore che non avrebbe mai dovuto commettere. Lord Bryan invece, che aveva costruito il suo impero speculando su errori come questo, se ne rallegrò, annuì con aria di partecipazione, gli sorrise, gli andò a sedere più vicino e gorgogliò compiaciuto: “Parlamene, ragazzo, parlamene!”
La storia era semplice: Betty era sempre stata una sognatrice, ma adesso Miss Worksham l’aveva messa in camera con un’allieva, una certa Wendy Darling, che l’aveva convinta dell’esistenza di spiriti, folletti, pirati, pellirossa e sirene che vivevano in un’isola magica cui si accedeva volando.
“Beh, le ragazze credono spesso a questo genere di cose” disse un po’ deluso Lord Bryan.
“Oh, sì, le ragazze amano le favole” - disse William tirando fuori di tasca parecchi fogli di carta da lettere gualciti - “Il fatto è che questa Wendy l’ha invitata per le festività a Londra e le ha promesso di portarla dopo Natale nell’Isolachenoncè, dove andrebbero volando assieme ad un certo Peter Pan. Sono molto preoccupato, zio” – concluse William – “si leggono tante brutte storie sui giornali…Ho domandato in giro, ma nessuno conosce questi Darling…Voi siete il tutore di Betty…”
“Cosa sono quei fogli?” chiese palesemente più interessato lo zio: se risultava che Betty era veramente pazza poteva toglierla dalla scuola e risparmiare i soldi della retta. Inoltre la piccola era orfana e forse avrebbe anche potuto accoglierla in uno dei suoi orfanotrofi per seguire uno dei suoi famosi corsi di economia all’aperto.
Quando seppe che quella lettera conteneva le descrizioni dell’isola, le storie dei suoi abitanti, il percorso per raggiungerla in volo e tutte le altre fandonie su quel tale, Peter, che sarebbe venuto a Londra il 28 dicembre a prendere le bambine, Lord Bryan, se fosse stato il signor Darlig, sarebbe saltato in piedi a braccia alzate gridando “Urrah!”. Ma Lord Bryan era un esperto uomo d’affari e contenne la sua felicità. Doveva ottenere assolutamente quella lettera e poi avrebbe deciso la strada da percorrere. Si ricordò che Lord Bargain, giudice della Contea, gli aveva recentemente chiesto l’ennesimo favore che lui non gli aveva ancora fatto, non sapendo cosa chiedere in cambio. Forse, con quella lettera in mano, poteva ottenere dal suo amico giudice l’interdizione perpetua di Betty e l’affidamento a sé della piccina, e tenerla in ostaggio se William fosse divenuto un po’ troppo curioso…
“Oh,” –disse con aria preoccupata – “dammi quella lettera, William, farò fare subito un’indagine su questi Darling e ti farò sapere!”
In quel momento il telefono sulla scrivania dello zio squillò.
“Sì?”- chiese il conte e William fu in condizione di udire una voce dal pesante accento tedesco che diceva eccitata dall’altro capo del filo: “Funziona, Milort, funziona! Macchina funziona penissimo!”
“Veniamo subito!”- disse lo zio alzandosi eccitato e riattaccando con una mano la cornetta, mentre con l’altra strappava lestamente dalle dita di William la lettera.
“Mortimer! Mortimer!”-Lord Bryan chiamò il figlio mentre metteva nel cassetto la lettera di Betty e chiudendo subito a chiave.
Dopo poco la porta della stanza si socchiuse e da quello spiraglio sporse la testa da anguilla velenosa di Mortimer Ffink Pfenninger Jones.
Mortimer scivolò nella stanza proprio come l’anguilla di cui aveva l’aspetto: non camminava, strisciava, scivolava, sembrava camminare sempre di sbieco; istintivamente non camminava mai al centro di un ambiente, ma pareva misteriosamente attratto dagli angoli più bui, come se fosse risucchiato dalle zone meno illuminate.
I due cugini non potevano apparire più differenti: solare, biondo, affascinante il primo, livido e losco il secondo il cui sguardo sfuggente si mimetizzava ulteriormente sotto una rada frangetta di untuosi capelli neri.
Mortimer sorrise al cugino tenendo la testa inclinata da un lato e senza scoprire minimamente i denti ma solo stirando le labbra, e William si domandò se Mortimer i denti li avesse davvero.

Mortimer – si disse William – non aveva denti, né velenosi né non, ma era velenoso lui, tutto, dalla testa ai piedi. Se un cobra l’avesse morso, era il cobra che sarebbe morto fra atroci tormenti, mentre, se fosse stato Mortimer a voler uccidere qualcuno non sarebbe stato necessario che lo mordesse: gli
sarebbe bastato sfiorarlo.
“Mortimer” – disse eccitato lo zio al figlio – “ha telefonato Octopus: pare che questa volta la macchina funzioni davvero! Dobbiamo andare, preparati subito! Quanto a te” – disse al nipote – “dormi tranquillo caro William, mi occuperò io di Betty!”
Era tanto felice che dimenticò per un attimo l’antipatia che aveva per il nipote e spinse la sua generosità fino ad offrirgli un passaggio verso la stazione, ove mai fosse dovuto rientrare a Eton in serata.


martedì 29 novembre 2011

Capitolo 3 - Lord Rubbish



La carrozza di lord Bryan lasciò Londra e si diresse verso l’aperta campagna.
Il veicolo, avvicinandosi alla discarica comunale, cominciò a superare sempre più frequentemente carri colmi di rifiuti e, pur mitigato dal freddo pungente, cominciò ad arrivare al naso degli occupanti la vettura anche un terribile tanfo che, più avanzavano, più diveniva intenso.
L’idea delle discariche era venuta a Lord Bryan così, per caso: aveva perso un paio di gemelli d’oro con brillanti e temeva che fossero finiti per errore tra i rifiuti. Aveva chiamato la servitù e, sotto i suoi occhi, aveva fatto rovistare i domestici tra la spazzatura rimanendo sconvolto dal vedere quante cose venivano gettate via con irrisoria facilità dai servi. Poiché i gemelli non erano stati trovati, si era informato dove fosse la discarica cittadina, vi si era recato e per tre giorni aveva fatto scavare i domestici senza trovare nulla, ma trovando conferma che tra la spazzatura c’era di tutto, bastava cercare.
Poi, ricordatosi che era anche proprietario di una vecchia miniera abbandonata, l’aveva affittata a prezzi esosi al Comune per scaricarci i rifiuti e, a quel punto, aveva avuto un vero colpo di genio: come fare a recuperare ferro, rame, stoffa, carta, legname che gli sciocchi londinesi gettavano con tanta facilità?
Gli orfani, certo, gli orfani! – si era detto - altro grande business quello degli orfani! In poco tempo aveva costituito due orfanotrofi e accolto centocinquanta orfanelli e andava in giro raccontando che faceva loro seguire un corso avanzato di economia. I ragazzi, diceva, lavoravano anche dieci ore al giorno all’aperto, a contatto con la natura, imparando veramente i sacri principi dell’economia che consistono in primo luogo nel non buttare ciò che può ancora servire.
Qualche volta gli veniva il dubbio che quel rovistare tra i rifiuti a mani nude, con il sole e con la pioggia, in estate ed in inverno, poteva anche non piacere ai ragazzi e la cosa un po’ gli dava fastidio. In effetti qualcuno di quegli ingrati, odiosi, piccoli scansafatiche scappava persino, e questo era un peccato anche perché le sovvenzioni pubbliche che riceveva consistevano in un tanto per ogni bambino e più ne scappavano, meno ne riceveva
La sua fertile mente di imprenditore aveva allora ideato la categoria dei “Sorveglianti Umanitari”. Ne aveva scelti quindici, grossi e nerboruti, guidati da un certo Johnny il Fetido, ad ognuno aveva assegnato dieci bambini, e li remunerava dando loro il 10% dei proventi ricavati dalla vendita del materiale recuperato (il 90% andava a lui e niente ai bambini, ovviamente). Certo, con questo incentivo, i Sorveglianti Umanitari a volte erano un po’ bruschi con i bambini: per farli lavorare di più e meglio, spesso li picchiavano, ma bisognava capirli, i ragazzi, in fondo dovevano imparare che tra i principi di economia c’era anche quello della divisione del lavoro.
Il fatto che i ragazzi lo avessero soprannominato Lord Rubbish non lo infastidiva affatto. C’erano già i “Signori del Carbone” e cominciavano a vedersi nella City ridicoli personaggi che vestivano sempre inguardabili caffettani e che erano chiamati “I Nuovi Signori Del Petrolio”, liquido nero questo, orribile, che puzzava più dei suoi rifiuti. Si offendevano loro? Certamente no! Perché avrebbe dovuto offendersi lui?
E poi, al limite, erano i ragazzi a doversi vergognare di mancare di rispetto nei confronti di uno dei massimi benefattori dell’umanità, perché, bisogna dirlo, Bryan Ffink Pfenninger Jones era un grande benefattore, così, almeno, aveva scritto il “Times”!
A dire il vero il “Times” non parlava proprio di lui: se il conte aveva capito bene dal titolo dell’articolo e dalle prime sedici righe (raramente ne leggeva di più), secondo le teorie di uno studioso apparentemente molto apprezzato nella City (un tale Adam Smith, se ricordava bene), in un sistema di libero mercato un imprenditore che produce ricchezza non lavora solo per sé, ma arricchisce tutto il sistema, fa lavorare la gente, produce e spende di più.
E’, in altre parole, un benefattore dell’umanità.
Ora, siccome l’Inghilterra era un libero mercato e lui era l’uomo più ricco d’Inghilterra, ne conseguiva che lui era il massimo benefattore del Regno! Questa certezza, giuntagli dalle pagine del più autorevole quotidiano del paese l’aveva fortunatamente sollevato da tutti i piccoli dubbi che ogni tanto l’avevano attraversato, perché lui non era cattivo - si ripeteva adesso orgoglioso - lui non era un cinico bastardo (come dicevano tanti), a lui piaceva solo fare affari come a un bambino piace giocare, e il bello del giocare in borsa e nella City era che se l’affare andava bene si diveniva pure benefattori!
Poi un giorno aveva conosciuto il geniale Dr Otto Kohops, che lui aveva ribattezzato umoristicamente Octopus, perché aveva mani sempre in movimento alla frenetica ricerca di fogli, foglietti, matite, pipa, orologio e quant’altro, e le muoveva così febbrilmente che sembravano più di due.
Otto che era maestro di quelle che Lord Rubbish chiamava benevolmente “Scienze Confuse”, aveva sedotto Lord Rubbish con l’idea del “Sintetizzatore”, una macchina che, a suo dire, avrebbe dovuto essere capace di estrarre dai rifiuti gli elementi chimici relativi ad un dato campione e di riprodurlo.
Lord Rubbish con la fantasia già vedeva Il Sintetizzatore, situato fra due giganteschi nastri trasportatori: su di uno venivano scaricati i rifiuti di Londra, mentre dall’altro uscivano scatolette piene di fagioli, di pomodori, cespi di insalata e di ogni altro ben di Dio. Pensare di fare soldi utilizzando ciò che era comunque pagato per distruggere era un’idea che non lo faceva dormire la notte.
Sognava questo genere di cose ad occhi aperti, commosso soprattutto al pensiero di tanta immondizia che poteva recuperare per darla da mangiare ai poveri affamati che vedeva all’angolo delle strade. Certo, si sarebbe fatto pagare anche da loro, magari poco, ma si sarebbe fatto pagare perché se andava avanti quella storia dei sussidi troppo facilmente concessi ai poveri (tanto caldeggiata da molti politici dell’opposizione), avrebbe potuto infiacchire pericolosamente il sano spirito laborioso degli inglesi.
In mezzo all’enorme discarica di Londra c’era il suo laboratorio segreto dove aveva confinato il Dr Kohops, il quale, poveretto, faceva i suoi esperimenti tenendo sempre il naso chiuso da una molletta da bucato per non sentire la puzza. “Uscirà di qui” – gli aveva detto tra il serio e il faceto – “quando la sua macchina funzionerà!” e, ora con una scusa, ora con un’altra, gli aveva sempre impedito di lasciare il laboratorio.
Dopo tante prove della macchina solo parzialmente riuscite, il conte stava diventando impaziente e cominciava a pensare che forse non bastava più confinare il professore tra i rifiuti… Forse bisognava stimolarlo in altro modo… Forse sarebbe stato opportuno farcelo vagare proprio tra i rifiuti, una o due notti, d’estate, e magari anche con un una bella luna piena che illuminava meglio i ratti e che faceva divenire l’ululato dei cani randagi sempre più forte…
Erano questa attenta cura dei particolari e questa capacità di motivare collaboratori e dipendenti che, unite allo straordinario intuito che aveva negli affari, avevano fatto di Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones l’uomo più ricco del Regno.
Avvicinandosi ulteriormente la vettura alla discarica, incontravano anche gruppetti di bambini dai sei agli undici anni, ognuno dei quali spingeva faticosamente un carrettino pieno di rottami e che erano seguiti da grossi omaccioni che salutavano Lord Rubbish, sollevando rispettosamente i loro nodosi bastoni.
Finalmente arrivarono al laboratorio. “Professore!” – salutò festosamente il conte – “Allora, ci siamo riusciti?”
“Ja, ja! Fenca, fenca, faccio fetere!”
La pronuncia, già difficilmente comprensibile per il pesante accento teutonico, risultava appesantita dai suoni nasali causati dalla molletta che chiudeva il naso del professore.
Nel capannone l’enorme macchina ansava e sbuffava: da un lato entravano i rifiuti e da un altro un rullo faceva uscire, ben allineati, barattoli di fagioli, di pomodoro, di frutta sciroppata, i cui esemplari-campione erano ben visibili sotto una gigantesca campana di vetro. I barattoli già duplicati sembravano assolutamente perfetti, ed anche le etichette sembravano identiche agli originali…
“Eccellente, professore! L’esterno è magnifico… e dentro?”
“Tentro uquale! contenuto chimico itentico a oricinale, -rispose il professore – “ja! Solo…”
“Solo che?”, domandò aggressivamente il conte, “Non mi avrà fatto venire qui per farmi assistere ad un ennesimo fallimento, spero?”
“Octopus” - intervenne calma e velenosa la voce di Mortimer - “se quel cibo è così bello e così sano come dice, ne mangi un po’ lei, subito, adesso, da bravo, ci faccia vedere, ne prenda un pochino da ogni barattolo!”
“Eccellente Mortimer, ottima idea, mangi professore,” approvò il conte “sì, ci faccia vedere!”
“Jaaa…” - squittì il povero Octopus - “io potrei anche manciare…Solo…”
“MANGI!!!”, ordinarono insieme padre e figlio, ed il professore fu costretto a mangiare Riciclato Jones, nelle versioni: Speciale Fagioli, Speciale Pancetta, Speciale alla Frutta.
Quand’ebbe terminato, Mortimer domandò sadicamente: “E allora, cos’era che non andava, professore?”
“E’ che cibo che esce ti macchina…putza! Senza molletta su naso nein manciare!” gridò il povero Otto.
“Tutto qui?”, domandò tranquillo lord Rubbish “Questi poveri che si lamentano sempre tanto, non penseranno mica che gli vendiamo caviale e champagne! Vogliono del cibo sano e nutriente a buon prezzo? Lo avranno, puzzerà un po’, ma se avranno veramente fame vedrà, professore, alla fine lo compreranno…
Del resto, anche io da bambino odiavo gli spinaci e la mia tata mi diceva sempre: ”Bryan, turati il naso, fai il bravo bambino e mangiali, poi, per premio ti porto alle giostre!”, e io li mangiavo!”
A quel ricordo il volto del conte si illuminò: “ Faremo come la mia tata! A chi comprerà tre barattoli di Riciclato Jones daremo in omaggio una molletta da naso come la sua per non sentire il cattivo odore… Anzi, faremo disegnare la molletta da qualche noto designer e le faremo blu per papà, rosse per mamma, rosa per le femminucce e celesti per i maschietti…
Io, sarò il primo testimonial della molletta: quando andrò in Parlamento e parlerà l’opposizione metterò la mia molletta e sul Times farò scrivere in prima pagina “anche Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones può ascoltare l’opposizione senza vomitare, ma solo perché si è turato il naso con la sua speciale molletta per alimenti… Che eccellente pubblicità gratuita!...”
Come tutti i grandi uomini, il conte aveva consapevolezza dell’importanza storica del momento che stavano vivendo e sentiva che le parole che stavano per fuoriuscirgli dal petto sarebbero state tramandate per generazioni. Aveva infatti l’intima certezza che quella notte finiva la famiglia Ffink Pfenniger Jones e nasceva una Dinastia e che le dichiarazioni del Capostipite sarebbero state ricordate dai posteri.
“Figliolo” - disse il conte avvicinandosi alla finestra con Mortimer e guardando orgoglioso la discarica illuminata dalla luna - “pensa, un giorno, tutto quello che vedi” - e fece un largo gesto con la sinistra indicando quel superbo spettacolo mentre poggiava la destra sulle spalle di Mortimer - “ tutto questo– ripeté -sarà tuo! In ogni grande città del mondo, là dove c’è immondizia ci saremo noi!
Ma ti garantisco, figliolo, che verrà un giorno, e forse io allora non ci sarò più, in cui elimineremo la puzza e in cui potremo produrre qualunque cosa, anche diamanti più grandi e belli di quelli di quell’antipatico di De Beers…
Saremo la più grande potenza economica del mondo, figliolo, e sarai tu a guidarla! “
Lord Bryan rimase per un attimo in silenzio, poi si riscosse dalle sue visioni, tolse il braccio dalle spalle del figlio e, tutto allegro, disse:
“Oggi è veramente un giorno di sogno e di sogni! Oggi i miei sogni si esaudiscono tutti! Anche quello, pensate, di liberarmi definitivamente di William e di Betty, e il destino vuole che la mia arma siano proprio i sogni di Betty!
Noi qui sognamo la conquista del mondo e – pensate - lei sogna Peter Pan e l’Isolachenoncè!”
“PETER PANN?!? ISOLACHENONCE’!?! CHI DICE SOGNA QUESTE COSE?” esclamò eccitatissimo il prof. Kohops, con l’accento più nasale che mai: “Questo no sogno, questo verissimo milort!”
“Professore, cosa dice?” disse Lord Bryan “come può esistere un’Isolachenoncè? Come si può pensare di volare per raggiungerla?”
Ma il povero professore non poteva rispondere perché si era messo a piangere disperatamente.
“Ma insomma, professore, che storia è questa? Perché piange?”
Per quanto possa essere difficile crederlo, il professore narrò che quando era bambino, era stato con Peter Pan nell’isola tra i Bimbi Smarriti. Poi però aveva voluto crescere e Peter lo aveva allontanato dall’isola.
Quanto se ne era pentito, quante volte avrebbe voluto tornare, ma – spiegò fra cocenti singhiozzi - nessuno può tornare all’Isolachenoncé senza il permesso di Peter e senza la polvere di fata.
Penserete che sarebbe stato impossibile convincere Lord Bryan di una cosa così incredibile, ma, alla fine, Octopus quasi ci riuscì.
“In Isola, nicht sporco, tutto puro, tutto bello, tutto pulito... – concluse speranzoso il professore - Perché noi non andare su Isola, milort?”
E qui, non ci crederete, ma si svolse tra lord Bryan ed il professor un assurdo brevissimo dialogo le cui conseguenze furono imprevedibili.
“Sì, professore, ma come vorrebbe tornare lei in quell’isola?”
“Facile, milort: basta volare!”
“Ho, capito – rispose il conte spazientito – e come si fa a volare?”
“Ancora più facile: basta afere polvere ti fata!”
“E come si fa, maledizione! – ruggì Lord Rubbish, la cui pazienza era stata messa tante volte a dura prova dalle strampalate teorie di Octopus – ad avere la polvere di fata?”
“Adesso con mia nuova grante invenzione tutto semplice: si prende fata, e si mette dentro sintetizzatore!” e questo, per il conte, mise fine alla conversazione: se, come era probabile, la storia di Betty e di quel visionario di Octopus si rivelava una fandonia, lui avrebbe avuto comunque in mano le armi per togliersi definitivamente di torno i nipoti; se, invece, quel Peter veniva veramente a prenderle, voleva dire che avrebbe avuto con sé veramente la polvere di fata….
Ora la prima cosa da fare era tornare a Londra, e leggere la lettera di Betty.


lunedì 28 novembre 2011

Capitolo 4 - Progetti, tradimento e complotti



La lettera spiegava tutto, proprio tutto e confermava quello che diceva Octopus.
Lord Bryan alla fine della lettura era molto interessato e così si fece dare dal professore anche tutte le altre informazioni di cui il dottore era a conoscenza.
Più Octopus gli parlava dell’Isola e dei suoi fantastici abitanti, più nella testa del conte prendeva forma un progetto:
“Octopus! Mortimer! Ho un’idea straordinaria! Supponiamo che questo posto esista veramente! Non appartiene a nessuno: ci sono solo bambini, qualche pellerossa, due piratonzoli scalcagnati, e natura, natura, NATURA… Tigri, leoni, orsi, sirene, spiagge incontaminate… Niente tasse! Un paradiso per i turisti ed un enorme affare per chi ci mette sopra le mani per primo: IO!
Io potrei trasferire lì la mia residenza e quella delle mie società, aprire una banca, avere dei casino con gioco d’azzardo…”
Ormai siamo abituati a vederlo fantasticare su nuove avventure economiche spinto dal suo straordinario senso degli affari, ed è sempre un piacere sentirlo parlare con entusiasmo dei progetti che la sua mente sviluppa con incredibile facilità…
“Potremo fare un albergo, diciamo di 5.000 camere…Sarà il primo parco giochi del mondo: è già tutto pronto, faremo un trenino che porterà i turisti nei villaggi degli indiani e dei bambini perduti, gite in canoa sui fiumi, escursioni sul galeone dei pirati, visite guidate alle sirene…Venderemo ai bambini pacchetti di cibo per le sirene.
A proposito, professore, cosa mangiano le sirene? In fondo sono solo dei pesci, e se sono pesci di bocca buona potremmo dare loro Riciclato Jones, e sui dépliants turistici potremmo anche mettere la foto di Peter Pan con un barattolo di Riciclato in mano che nutre le sirene! Anzi, Mortimer, prendine nota, perché questa mi pare un’idea fantastica!”
“E poi - proseguiva Lord Bryan – vogliamo mettere la caccia? Tutte quelle belve! Un paradiso per i cacciatori! Chissà poi se le sirene si fanno pescare? Una bella sirena impagliata sul camino di una villa al mare in Costa Azzurra o nel Maryland… Chissà quanto pagherebbe un americano per una bella sirena impagliata sul camino!”
“E come andranno i turisti nell’isola?” chiese Mortimer scettico.
“Oh, figliolo, te l’ho detto: PENSA GRANDE ! in volo, naturalmente! Se riusciremo a produrre con il sintetizzatore polvere di fata, non avremo problemi di trasporto!” - la straordinaria mente di Lord Bryan aveva trovato un nuovo settore di business sul quale fantasticare e non se lo lasciò sfuggire – “ Produrre la polvere utilizzando le discariche, ci costerà pochissimo. Potremo fare a meno di quei costosissimi dirigibili tedeschi della Zeppelin! Non dovremo mandare più preziosa valuta in Germania! Costituiremo noi la prima compagnia di trasporto turistico aereo low cost del mondo e sarà inglese, proprio inglese!
Ho già in mente il nome, la chiamerò “Bryan Air” e sarà un successo, garantisco! Con il nostro sintetizzatore avremo il monopolio della polvere di fata e l’Inghilterra, per i trasporti, non sarà costretta a subire il ricatto del petrolio da questi ridicoli signori col caffettano! Loro hanno il loro puzzolente petrolio? Noi abbiamo la nostra ancora più puzzolente mondezza, una riserva inesauribile di mondezza! I paesi industriali sono i più grandi produttori di rifiuti, lo sapevi Mortimer? E la famiglia Ffink Pfenniger Jones ne avrà il monopolio, non solo qui ma in tutto il mondo…”
Fece una pausa.
“C’è di che essere orgogliosi se si pensa a queste cose!” concluse alla fine.
“Sì, “- disse la voce di Mortimer dall’angolo più buio della stanza – “ma come faremo a catturare una fata?”
”Octopus, che cosa occorre per duplicare la polvere di fata?” chiese il conte impaziente.
“Già detto ieri, milort: prendi fata e metti in sintetizzatore, ja!” rispose sinteticamente il propfessore, che sapeva benissimo che la prima regola del buon consulente è “non esorbitare dalle proprie competenze”.
I due sembravano in stallo e così Mortimer intervenne: “Forse una soluzione l’ho io… Invitiamo a cena William e Betty per la sera del 27 dicembre, e con loro invitiamo anche la loro amica Wendy. Avevi promesso a William il tuo interessamento, e così gli dirai che vuoi conoscere la piccola Wendy Darling, lui ti crederà e sarà felice del tuo intervento.
Dopo cena li farai riaccompagnare a casa con la nostra carrozza guidata da un solo cocchiere e quando saranno vicini a casa Darling la carrozza sarà attaccata da un manipolo dei nostri “Sorveglianti Umanitari” con i loro randelli.
Ne parlerò con Johnny il Fetido, che è un ragazzo sveglio. I nostri non dovranno far loro del male ma limitarsi a portarli alla discarica dove li nasconderanno nel sintetizzatore. Se la storia di Wendy è vera, quel Peter verrà il 28 dicembre con la fata per portarli nell’isola. Però per farlo dovrà per forza entrare anche lui nel sintetizzatore dove li cospargerà necessariamente di polvere di fata per farli volare via.
Se il professore si organizza per tempo programmando la macchina a dovere, otterrà il campione di polvere che gli necessita”
“Geniale, atsolutamente geniale!”, convenne Octopus.



domenica 27 novembre 2011

Capitolo 5 - La trappola



Lascio a voi immaginare il trambusto che si scatenò in casa Darling la vigilia di Natale, quando un valletto del conte recapitò l’invito per Wendy e Betty.
La signora Darling che aveva subito in dignitoso silenzio le sprezzanti occhiate delle altre mamme quando diceva il nome dell’istituto frequentato da Wendy, non stava in sé dalla gioia pensando che fra poco avrebbe potuto raccontare addirittura di un ricevimento natalizio a casa di Sua Eccellenza il conte Lord Ffink Pfenniger Jones “zio della più cara amica di Wendy!”.

Il signor Darling si preoccupò invece subito moltissimo pensando che forse Wendy avrebbe avuto bisogno di un vestito nuovo, ma questo punto fu subito risolto quando si appurò che nemmeno Betty possedeva alcun abito particolare da sfoggiare a casa dello zio.

Anche se vedo le vostre labbra fremere per l’ansia di conoscere se i loschi progetti del conte e del figlio ebbero o no successo, debbo dirvi in primo luogo che il giorno di Natale fu veramente un giorno magico per Betty: tutti la subissarono di gentilezze, le fecero una quantità di regali, Gianni scrisse addirittura una poesia per lei e quando gliela diede diventò rosso come un peperone, cosa che fece molto piacere alla piccola Betty.

Poi venne il 27 e William andò a prendere le due ragazze con la carrozza dello zio. William, come sappiamo era molto prevenuto nei confronti di Wendy ma si era imposto di non far trasparire quei suoi sentimenti e di essere gentile con tutti.
Le ragazze già pronte attendevano William in salotto spiando l’arrivo della carrozza di dietro le tende.

Devo dirvi, ad onor del vero, che la reazione delle ragazze al suo arrivo avrebbe fatto molto stizzire Miss Worksham, perché in quel momento dimenticarono entrambe la massima del “contegno, contegno, contegno”, tanto insistentemente predicata dalla direttrice. Betty aprì rumorosamente la porta di casa e corse urlando in strada ad abbracciare il fratello, mentre Wendy…

Beh, è difficile dire quello che fece Wendy: lei ebbe la sensazione di essere stata irrorata di polvere di fata, di svolazzare qua e là e che tutti nella stanza avessero smesso di parlare o, forse, era diventata sorda lei perché non sentiva più alcun rumore. Si riscosse solo quando per la terza volta Betty, tirandole la manica, le urlò nell’orecchio (le due prime volte non aveva sentito):”Ti posso presentare mio fratello?”

William le andò incontro come sempre preceduto dal suo raggio di sole privato e Wendy, che sarebbe voluta fuggire via e non poteva, si fece forza e abbozzò un inchino dicendo: ”Benvenuto milord!” facendo sganasciare dalle risate Betty, Michele e Gianni, che erano corsi anche loro incontro all’ospite.
Devo dire che in quella confusione un po’ di polvere di fata doveva essere caduta per sbaglio anche sulla signora Darling e per qualche attimo William avrebbe potuto, se fosse stato pronto, cogliere forse quel piccolo tenero bacio che stava sempre all’angolo delle labbra della signora.

Il conte a cena fu straordinariamente gentile con le ragazze ed il nipote ma, soprattutto, lo fu con Wendy: si interessò a lei e ai suoi studi e dimostrò una straordinaria curiosità sia per quel Peter Pan che doveva venirle a prendere, sia per la sua isola.


Da perfetto ed affascinante padrone di casa non finiva mai di farle domande sul viaggio e la sua durata, la direzione da prendere, il numero dei pirati e degli indiani, le loro armi, la geografia dell’isola…Insomma, il conte, esperto nel carpire i segreti, fece di tutto per conquistare la sua giovane ospite e ci sarebbe anche riuscito pienamente se Wendy non avesse dovuto combattere per tutta la sera con un fastidiosissimo raggio di sole che sembrava originare misteriosamente sopra la testa di William e che continuò per tutta la cena a ferirla negli occhi.
Comunque il comportamento di Lord Bryan fu così disteso, così amichevole e mise talmente a loro agio i suoi giovani ospiti che, quando propose un brindisi prima di tornare a casa, Betty tutta felice ed eccitata alzò la coppa nella quale era stata versata una lacrima di champagne per dire “Con tanti auguri perché Wendy e William si sposino presto!”

Naturalmente Wendy sarebbe voluta sprofondare sotto il tavolino per la gran vergogna e in quel momento pensò, disperata, che avrebbe potuto anche morire se solo avesse incontrato gli occhi di William mentre William, a sua volta pensò che le sorelle chiacchierone dovrebbero poter essere legalmente uccise, magari senza far loro provare troppo dolore, ma uccise.

Il conte in quel momento così drammatico per i suoi ospiti fu splendido: rise simpaticamente della battuta, fece delicatissimi complimenti a Wendy, disse che se la cosa fosse successa veramente avrebbe dato la sua benedizione, richiamò su di sé l’attenzione, sviò il discorso e quando l’imbarazzo passò, li accompagnò alla porta, li salutò tutti affettuosamente e arrivò perfino ad accennare un galante baciamano a Wendy dicendole: “Beh, allora buon viaggio figliola, e mi saluti tanto quel Peter!”
Il ritorno a casa dei nostri tre amici sarebbe stato perfetto, come avrebbe confessato qualche anno dopo Wendy a William, se gli zoccoli dei cavalli non avessero fatto per tutto il tragitto un fastidiosissimo rumore contro il selciato che, composto com’era solo di soffici nuvole, non avrebbe poi dovuto rimbombare tanto.

A turbare però tutta quella perfezione, quando erano ormai arrivati in fondo al viale di casa, giunse Johnny il Fetido con tutta la sua banda.
Come disse più tardi nel salotto di casa Darling il dolorante cocchiere del conte al poliziotto che raccolse la sua deposizione (mentre il signor Darling sorreggeva affettuosamente la moglie in lacrime), quell’ignobile banda di orrendi gaglioffi aveva trascinato via il povero signorino William e le due derelitte fanciulle che urlavano atterrite e, alla domanda del sergente aveva aggiunto: “Oh, sì, certo, il signorino William ha lottato come un leone e ha strappato dal volto di quello che sembrava il capobanda il cencio dietro il quale si celava…”
Peccato però che lui, il cocchiere, non potesse riconoscerlo, quel malvivente.


sabato 26 novembre 2011

Capitolo 6 - L’arrivo di Peter Pan



Capitava raramente che Peter fosse puntuale, anzi, era più facile che gli appuntamenti, come i nomi ed i visi, lui li dimenticasse del tutto. Quel Natale però, per qualche strano motivo, Peter doveva aver forse sentito nostalgia o di Wendy, o di Gianni o di Michele, o delle favole della signora Darling, o delle sue torte o, forse, più semplicemente, si era stancato di giocare con le fate nei giardini di Kensington, fatto sta che, alle cinque del pomeriggio del 28 dicembre, quando era già buio, bussò alla finestra del salotto di casa Darling.
Arrivò cantando come faceva sempre quando era felice, bussò al vetro per farsi aprire e planò sul divano con una piroetta:” Olà!”, disse a tutti.

“Buu!!”fecero singhiozzando Gianni e Michele.

“BUUUUUUUU!!” fece Nana dalla cuccia.

“BUUUUUUUUUUUUUU!!” fece il signor Darling, per non essere accusato di avere per sua figlia meno affetto di quanto ne avesse il cane.

“Sniff Sniff” faceva silenziosamente dentro un fazzoletto la signora Darling.
Peter non amava né le lacrime né le persone tristi, per cui inclinò la testa da un lato assumendo l’aria di chi pensa “Avrei fatto meglio a rimanere a Kensington con le fate!”, e chiese educatamente: ”E’ morto qualcuno?”

“BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!” fecero in coro tutti quanti eccetto la signora Darling, che compostamente si limitò a fare solo un discreto”bu bu!” nel fazzolettino.
Insomma! Quelle erano le Feste di Natale, doveva esserci solo allegria intorno! Peter pensò per un attimo di scappare da quel funerale, ma poi si rivolse a Gianni chiedendo di spiegargli cosa fosse successo.

Come pensate che Peter abbia accolto la notizia del rapimento che tanto angosciava tutta la famiglia Darling? Sicuramente, direte, egli ne sarà rimasto sconvolto, avrà pianto ed urlato, e invece…

“Evviva!” esclamò, “Andiamo a salvarli!”, perché per Peter è il gusto dell’avventura, il piacere di iniziare una nuova impresa, l’ansia di affrontare un nuovo nemico, che dà gusto alla vita.

“Dai, Gianni, dai, Michele, diamo la caccia a quei marrani!”

Il signor Darling comunicò scuotendo il capo disperato che la polizia non aveva trovato alcun indizio eccetto un lurido cencio e che nessuno aveva idea di dove potessero essere stati portati i ragazzi. Il signor Darling stava seduto sul letto tanto angosciato che Nana sentì la necessità di avvicinarsi a lui e mettergli una zampa sul ginocchio per consolarlo.

A quella vista Peter urlò “Nana!” facendo sobbalzare tutti “Certo, Nana! – ripeté - Faremo odorare a Nana quel fazzoletto, e Nana ci condurrà sulle tracce di Wendy e dei suoi amici! Glielo faremo odorare sul luogo dove li hanno rapiti e di lì lei ne seguirà le tracce col fiuto!”

“Campanellino!” disse “Aiutami a cercare quel fazzoletto, dobbiamo trovare le ragazze!”.

Prima di tutto, però, bisognava cercare Trilly che si era nascosta e non aveva nessuna voglia di farsi trovare. La lunga assenza da Londra non ne aveva migliorato il carattere e chiaramente non era contenta di condividere Peter non solo con Wendy, di cui era da sempre gelosa, ma addirittura con una nuova ragazza. Peter però fu molto gentile e la convinse a cercare con loro e, alla fine, trovarono il cencio e lo porsero a Nana.

Perché credete che Johnny il Fetido si fosse meritato quel soprannome? Perché, come potete facilmente immaginare, da lui emanava un tale olezzo da far scappare persino i ferocissimi ratti della discarica senza necessità di usare il bastone.

Il fetore era così forte che, se non fosse stato per l’affetto che nutriva per Wendy, la povera Nana non avrebbe mai odorato il fazzoletto.

Peter, Campanellino, Gianni e Michele scesero in strada e condussero Nana sul luogo del rapimento dove Nana odorò lo straccio, poi abbaiò tutta eccitata perché la traccia lasciata da Johnny il Fetido era talmente forte e chiara da sembrare un’autostrada.

Il tragitto però era lungo, i ragazzi furono presto stanchi e così Peter disse a Trilly di cospargerli di polvere di fata per farli volare con lui ed alleviare loro la fatica.

Come fu diverso questo volo per Gianni e Michele dal primo che avevano fatto assieme con Peter e Wendy verso l’Isolachenoncè! Questa volta i loro cuori erano talmente pesanti ed infelici, che Trilly fu costretta a dare loro doppia razione di polvere per farli volare!

Nana correva nella notte e Peter ed i ragazzi la seguivano dall’alto. Già a un paio di miglia dal laboratorio l’odore dei rifiuti divenne però talmente forte da sommergere anche quello di Johnny il Fetido. Dai mucchi di spazzatura cominciarono anche ad emergere gli occhi famelici delle selvagge creature che l’abitavano e Peter decise di cospargere di polvere anche Nana e di esaminare tutti insieme la discarica da una quota più alta.

Ovviamente la povera Nana non aveva alcuna esperienza di volo per cui cominciò a vagare qua e là per il cielo come la portava capricciosamente il vento, proprio come succede ai palloncini comprati alle giostre quando sfuggono dalle dita dei bambini. Purtroppo nessuno aveva pensato di portare con sé un guinzaglio (se Nana lo avesse visto si sarebbe sicuramente offesa) e così Gianni fu costretto ad agganciarla per il collare con il manico dell’ombrello per guidarla in volo.

La cosa, ovviamente, divertì moltissimo Michele che, a sua volta, decise di attaccarsi alla coda di Nana (come faceva sempre, per non perdersi, quando passeggiavano per la via), mentre con l’altra mano teneva stretto l’orsacchiotto.
“Trenino!” rise tutto contento Michele dimenticandosi completamente del rapimento di Wendy “Treno, Nana, Ciuff Ciuff!” e stava anche per imitare il rumore della sirena, quando Peter disse: “Devono essere lì!” e indicò il laboratorio, unica costruzione in quella landa deserta le cui luci, tutte accese come per una festa, attiravano inequivocabilmente l’attenzione “Scendiamo, arriviamoci a piedi!”
Presero terra in una zona d’ombra nel recinto davanti all’ingresso e avanzarono guardinghi, Peter stringendo in mano il pugnale, Gianni brandendo bellicosamente l’ombrello, Michele che faceva coraggio all’orsacchiotto di pezza e Nana che guidava la truppa alla ricerca delle ragazze.

“Pist, pist! Ehi, voi…”sussurrò una voce dall’ombra.

“Chi c’è là?” chiese piano Peter.

“Zitti! Venite al riparo! Non fatevi vedere!” proseguì la voce dal buio “Tu sei Peter Pan, vero?”

“Sì, sono Peter, e tu chi sei?”

“Zitto! Parla piano, mi chiamo Ragvendra, ma tutti qui mi chiamano Rags! Lavoro qui con altri centocinquanta bimbi per Lord Rubbish. Mi domandavo proprio se saresti venuto!”

Peter che pensa sempre che tutti lo conoscano, non si stupì che chi gli parlava lo conoscesse “Ma tu chi sei? – chiese – “Fatti vedere un po’! Come facevi a sapere che venivo, se non lo sapevo nemmeno io?”

Dall’ombra più fitta spuntò il visetto magro e simpatico di un bimbo infagottato di stracci, sormontato da un enorme turbante “E’ che qui ci danno pochissimo da mangiare…”disse il ragazzino affrontando un po’ confusamente il problema “ e ieri i nostri sorveglianti erano improvvisamente spariti. Ci hanno chiuso nella baracca e sono andati via, e così io sono evaso alla ricerca di cibo. Gli altri ragazzi invece avevano paura e non sono usciti.

Mi ero appena infilato nella dispensa, quando i sorveglianti sono tornati con tre nuovi ragazzi prigionieri e li hanno chiusi nello stanzino accanto a me. “Fino a domani!” ha detto Johnny il Fetido “Domani vi mettiamo nel Sintetizzatore!”. Poi si sono messi a mangiare e a bere fuori della mia porta e io non potevo più tornare nella baracca. Una delle ragazze piangeva e l’altra, Wendy, mi pare si chiamasse, la consolava “Dai, non piangere, - le diceva - ti racconto ancora la storia che ti piace tanto di Peter e dell’Isolachenoncè e stai tranquilla, vedrai che Peter viene a salvarci, mi ha già salvato quella volta che ero prigioniera di Uncino…”
“Ha detto così?” interruppe gongolante Peter “Sì, in effetti è stata una bella lotta,. Mi sono divertito moltissimo…”

“Sì, però vai avanti, dicci di Wendy!” intervenne Gianni.

“Beh, sì, dicci pure di Wendy…” concesse un po’ dispiaciuto Peter.

“Va bene, ma c’è, poco da dire…Wendy ha raccontato tante volte le vostre avventure sull’Isolachenoncè, fino a che l’altra bimba non si è addormentata, ed io ero là, dall’altra parte della parete, che la ascoltavo e non credevo mica tanto a quello che raccontava…Poi quando l’altra, Betty, mi pare, si è addormentata, la prima, Wendy, si è messa a piangere lei e allora il ragazzo, che fin’allora era stato zitto, ha cominciato lui a consolarla…

Senti, Peter, ma è vero che nell’isola con te ci sono i Bimbi Perduti?”

“Sì, certo!” fece Peter “Vuoi venire anche tu a combattere i pirati?”

“Wow!” fece Rags “Quando si parte?”

“Quando vuoi!” fece Peter con noncuranza “Anche subito! Io sono il capo e decido io!” aggiunse tanto per mettere in chiaro le cose.

“Però prima pensiamo a liberare Wendy!” disse Gianni che, conoscendolo bene, si preoccupava sempre che Peter non cambiasse idea nel frattempo.

“Va bene” disse Rags “Però dopo, io e i miei compagni veniamo con te all’isola, intesi? Comunque,” - proseguì – “questa mattina, i sorveglianti sono tornati per portarli al Sintetizzatore, che è una macchina grande grande che sta lì dentro, e io nel trambusto ho cercato di tornare alla mia baracca ma c’era troppa gente in giro e mi sono dovuto nascondere qui. Ho sentito che mi cercavano e che Johnny diceva che quando mi trova mi fa parlare con Mastro Randello… Peter, mi raccomando… Io vengo con te…”

“Va bene, adesso entriamo. Tu conosci il posto?”

“No, mai stato lì dentro…”

“Allora entriamo…Ma facciamo piano…Mi raccomando…”



venerdì 25 novembre 2011

Capitolo 7 - Liberi!



Sembrava che intorno non ci fosse nessuno. Aprirono la porta e si introdussero silenziosamente nel laboratorio dove l’olfatto di Nana riuscì ad individuare anche una lieve traccia del profumo della signora Darling che Wendy si era spruzzata di nascosto prima di uscire di casa per fare più colpo su William.
“Wendy è qui!” fece capire Nana agitando festosamente la coda e annusando più forte il terreno.
“Mamma che puzza!” disse Michele.
“Schhhh!” dissero Peter e Gianni.
Macchinari enormi e misteriosi torreggiavano in ogni ambiente, ovunque gigantesche cinghie di cuoio facevano girare possenti ingranaggi tra sbuffi di fumo, tonfi e sinistri scricchiolii.
“Dove siamo capitati? In questo posto fabbricano puzza?” chiese Michele.
“SCHHHHH!” ripeterono Peter e Gianni.
Nana cominciò a grattare una porta mugolando eccitata.
“Devono essere là!” disse Peter a Gianni.
“Devono essere là!” disse Gianni a Michele.
“Devono essere là!”disse Michele nell’orecchio all’orsacchiotto.
“Sono sicuramente là!” convenne Rags.
Peter aprì cautamente la porta e, al centro della stanza, dentro l’enorme campana di vetro dove il professore solitamente collocava i campioni da duplicare, legati come salami, c’erano William, Wendy e Betty.
“Liberiamoli” disse Peter e con Gianni e Campanellino si infilò nella campana di vetro dove con il pugnale tagliò le funi.
Erano ancora dentro e Peter aveva appena finito di liberare i polsi di William, che alcune porte di quell’immenso ambiente si aprirono di colpo ed irruppero Johnny il Fetido e la sua banda di Sorveglianti Umanitari che entrarono urlando agitando i bastoni. Rags, terrorizzato, cercò di uscire da una porta ma finì proprio fra le braccia di uno dei sorveglianti.
“Ritirata!” urlò Peter “Campanellino, la polvere!”
Trilly cosparse generosamente di polvere di fata William che le era stato subito molto simpatico e si sarebbe forse rifiutata di cospargere anche Wendy e Betty se Peter non l’avesse presa al volo e non l’avesse energicamente scossa sopra di loro.
“Usciamo dalla campana!” urlò Peter tenendo ancora Trilly in pugno. Uscì, volò sopra Nana, Gianni e Michele che cosparse generosamente di polvere anche se, forse, non ce n’ era bisogno.
Un grande lucernario era aperto sul soffitto del locale:
”Di là!”, indicò Peter alla truppa e si levarono tutti in volo dietro di lui e si lanciarono liberi e felici nella notte.
Fu festa grande quella sera a casa Darling anche se un po’ venata dal dispiacere di non aver potuto liberare Rags e, dispiace dirlo, fu festa grande anche in casa di Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones quando dal laboratorio arrivò la notizia che il professore aveva isolato una sufficiente quantità di polvere di fata da poterla duplicare.
Per il momento però concentriamoci sui nostri eroi.
Michele, appena giunto a casa si rifugiò tra le braccia della signora Darling, l’abbracciò stretta stretta e le spiegò concitatamente che erano stati nella fabbrica della puzza dove, dopo aver liberato i prigionieri, erano stati aggrediti da enormi mostri puzzolenti.
William si diresse verso il signor Darling dicendo compitamente: ”Mi scuso per il deprecabile incidente e per il ritardo con cui le riporto sua figlia. Le prometto, signor Darling, che se vorrà farmi l’onore di affidarmela ancora, questo non accadrà più!”
Wendy cercava di raccontare alla signora Darling come William si fosse eroicamente battuto nella carrozza per respingere gli assalitori e sperava che anche Peter sentisse, perché il fatto che lui tante volte dimenticasse non solo gli appuntamenti, ma persino il suo nome, proprio non le andava giù.
Betty diceva a William come si fosse improvvisamente sentita tranquilla e sicura quando aveva visto entrare Gianni con l’ombrello in mano, e lo diceva a voce sufficientemente alta per farsi sentire da Gianni che gonfiava il petto diventando rosso come un tacchino.
William si scusava con Wendy raccontandole di non aver creduto all’inizio all’esistenza di Peter e dell’Isolachenoncè…
E Peter?
Beh, Peter si aspettava che tutti lo considerassero il salvatore e, invece, nessuno si curava di lui.
“Silenzio!” urlò dopo un po’ spazientito in quel frastuono, per attirare l’attenzione su di sé.
Subito tutti si ricordarono di lui:“Oh, Peter!”, “Dimmi Peter!” “Che c’è Peter” “Sì, Peter!” dissero in coro.
Il signor Darling invece, che non aveva capito nulla, disse: ”Peter?” inarcando un sopracciglio.
Tutti, a quel punto, (eccetto il signor Darling), cominciarono a ringraziare Peter per l’eroico salvataggio da lui compiuto e gli fecero anche molte feste e lui per un po’ li lasciò generosamente fare, pavoneggiandosi solo nei limiti del consentito.
Poi, con un gesto autoritario fece tornare il silenzio nella stanza e domandò: “Siamo qui, tutti insieme, felici e soddisfatti, ma non abbiamo alcuna idea di chi li abbia rapiti e perché.”
A quel punto il signor Darling fece un nuovo grave errore psicologico dicendo:” Ci penserà la polizia a scoprirlo domani, Peter, non ti preoccupare!”
Come? C’era una nuova eccitante avventura da compiere e gli dicevano di non occuparsene?
Per fortuna i ragazzi erano eccitati quanto lui.
William, che aveva capito di essere stato portato alla discarica di cui sapeva lo zio aveva l’appalto, ipotizzò che alcuni miserabili dipendenti del conte avessero rapito lui e le ragazze pensando ad un riscatto. I malandrini – disse - però ignoravano quanto fossero poveri lui e Betty e quanto fosse tirchio Lord Bryan…
Di fronte a tanta disarmante sincerità anche il signor Darling arrivò a dire che, forse, anche le loro condizioni economiche erano sufficientemente disastrose da metterli al riparo dal rischio di un rapimento.
Wendy e Betty si ricordarono a questo punto del povero Rags e dissero a Peter che avevano promesso di portarlo via. William un po’ titubante, disse che avrebbe cercato lui di parlare allo zio di Rags, ma lo avrebbe fatto quando avesse capito meglio come erano andate le cose.
Comunque dopo quella terribile esperienza, e su suggerimento della signora Darling, decisero di cambiare i loro programmi annullando per il momento il viaggio all’isola perché i ragazzi erano ancora troppo stressati. Peter decise di rimanere ancora qualche giorno a Londra per farsi coccolare dalla signora Darling, dalle ragazze e per vantarsi con le fate dei giardini di Kensington delle gesta compiute e, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe anche cercato sia di capire chi aveva ordito il rapimento, che di liberare Rags per portarlo con sé all’isola.
In effetti non andò proprio così perché dopo pochi giorni Peter, che si lasciava sempre distrarre dai nuovi avvenimenti, perse ogni interesse a proseguire l’indagine, si dimenticò totalmente di Rags e degli altri ragazzi e dopo l’Epifania decise di tornare con Trilly all’Isolachenoncé.
Lungo la strada però si lasciò sedurre da mille altre avventure, ma sarebbe inutile domandargli dove era stato perché lo ha probabilmente dimenticato. Si potrebbe presumere che volando fra le nuvole fosse finito in un nido di albatros perché aveva ancora delle penne tra i capelli, e che fosse stato a giocare con le sirene perché la sua camicia recava ancora tracce di scagliette delle loro code. Tempo dopo, improvvisamente parlò anche di come gli fosse sembrato triste il canto delle balene e, siccome non ne aveva mai parlato prima, dobbiamo presumere che fu in quell’occasione che visitò la Terra del Fuoco dove il canto delle balene è più forte e più triste.
L’unica cosa certa che si può dire è che purtroppo Peter stette lontano dall’isola per un tempo più lungo del solito.




giovedì 24 novembre 2011

Capitolo 8 - Lord Rubbish alla conquista dell’Isolachenoncé



La spedizione, capitanata da Lord Bryan in persona, arrivò in vista dell’isola quando Peter non era ancora tornato.
Il conte che dalla lettera di Betty, dalle confidenze di Wendy e dai resoconti del professore aveva avuto tante preziose informazioni sull’isola e sul viaggio, aveva organizzato per quella prima spedizione un agile convoglio composto solo da poche guardie ben armate, da alcuni ingegneri edili, da sé stesso e da Otto. Lo scopo era infatti quello di fare i rilievi necessari per la costruzione dell’albergo e di preparare i piani per l’occupazione definitiva di quello che era destinato a divenire il centro dell’Impero della Famiglia Ffink Pfenninger Jones.
Ovviamente, prima di partire si erano tutti minuziosamente allenati per imparare a volare. Il conte, sempre organizzatissimo, aveva fatto allestire un grande capannone tutto imbottito di cuscini dove effettuare le prove.
All’inizio il problema principale fu solo quello delle gran testate che tutti davano al soffitto o che si davano fra loro quando svolazzavano senza controllo. Oltre i cuscini furono pertanto subito adottati elmetti di tipo militare salva-testa imbottiti che il conte però non trovò adatti ad una futura commercializzazione e pertanto chiese che per il suo ritorno fosse predisposto un modello di design più accattivante. Per quanto personalmente poi lo riguardava, il conte, che non amava certo le brutte figure, si allenava da solo, quando il capannone era vuoto. Faceva le prove legato ad una fune (fune la cui altra estremità era saldamente nelle mani di Homer, il capo dei suoi stallieri che fungeva da personal trainer) e, così assicurato, faceva esercizio con Homer che lo tirava giù se si avvicinava troppo al soffitto o alle pareti evitandogli rovinose capocciate.
Le lunghe sedute di allenamento in quell’ambiente imbottito furono provvidenziali perché evidenziarono un insospettato grave difetto della polvere per volare che lui aveva denominato Simil Fata Vola Alto Jones.
La polvere di Otto infatti era “quasi” come quella originale delle fate, ma non completamente uguale. Il problema era che poteva accadere che, da un momento all’altro, senza alcun preavviso, la polvere perdesse potere e il malcapitato precipitasse rovinosamente a terra con le inevitabili conseguenze che potete facilmente immaginare.
Dopo un attento studio, le soluzioni raccomandate da Octopus furono due.
La prima consisteva nell’utilizzare la polvere volando vicino al suolo. Con tale tecnica spiegava il professore, nei viaggi si risparmiava fatica e, in caso di caduta, c’era solo il rischio di ammaccature non gravi, di semplici sbucciature e contusioni.
La pratica mente del conte fece allora subito predisporre un kit di bende, il ”Pronto Uso Vola Sicuro Jones”, che sarebbe stato utilmente sperimentato durante questo primo viaggio, in attesa di una futura commercializzazione.
La seconda soluzione offerta da Octopus era il “volo d’alta quota”. Volando molto alti, diceva il professore, il malcapitato viaggiatore che avesse visto svanire i poteri della polvere che si era cosparso addosso, precipitando avrebbe avuto comunque il tempo di aprire un’altra bomboletta di polvere e rispruzzarsela ancora.
Qui la fantasia del conte diede i suoi migliori risultati ed ideò lo zaino “Overtherainbow”, versione lusso, con paracadute in seta ad apertura automatica in caso di perdita di quota e otto cartucce di polvere “Simil Fata Vola Alto Jones” con apertura a strappo sistemate comodamente sul petto per una migliore e più sicura estrazione. Per i viaggiatori meno abbienti e per quelli che amavano o il rischio o gli sport estremi, il conte fece studiare la speciale e più economica confezione “Zaino Kamikaze Sport Jones” senza paracadute e con due sole cartucce di polvere.
Durante il trasferimento i membri della spedizione poterono fortunatamente contare sulle provviste che si erano portati da casa. Debbo purtroppo dire che molti dei tecnici, una volta consumati i pasti, buttavano giù dal cielo la carta con cui avevano avvolto i panini, i noccioli della frutta e quant’altro, senza curarsi di chi c’era sotto. Questo però, per fortuna, non creò problemi perché avvenne mentre volavano sopra l’oceano. Però poi il conte se ne accorse e li rimproverò moltissimo obbligandoli a non buttare più nulla sulla testa della gente e impose di riportare tutto con sé “per buttarlo, una volta tornati a casa nella discarica. E’ sciocco – concluse – buttare tanta buona roba che può essere più utilmente riciclata con buoni margini di profitto”.
Come sapete “quando Peter non è nell’isola, tutto è quieto e normale: le fate si concedono un’ora in più di sonno, le belve badano ai loro piccoli, i pellerossa mangiano a sazietà per sei giorni e sei notti filati, e quando i pirati e i Bimbi Smarriti si incontrano, si contentano di mordersi i pollici, in atto di reciproca sfida.
E’ solo con l’arrivo di Peter, che detesta l’inerzia, che tutti riprendono la loro frenetica attività”( ).
Il fatto che Peter non fosse nell’isola fece sì che questa avesse l’aspetto di un Paradiso Terrestre e che il conte potesse dedicarsi alle rilevazioni e all’immaginazione di un futuro turistico in assoluta tranquillità.
“Qui faremo il campo di atterraggio della Bryan Air, di lì faremo partire il trenino che porta all’albergo. Le tappe turistiche saranno il villaggio pellerossa, le case negli alberi dei Bimbi Smarriti da cui si prosegue fino alla grotta del Tesoro. Di lì in barca fino alla laguna delle sirene, sosta alla Roccia del Teschio, colazione a bordo della nave dei pirati poi, sulla via del ritorno, nuova sosta al villaggio pellerossa per l’acquisto di prodotti di artigianato locale.
Pare che la figlia del capo, Giglio Tigrato, sia molto carina: la vedrei bene alla reception dell’albergo…”
Il massimo della soddisfazione lord Bryan lo ritrasse dalla visita alla laguna delle sirene: quel giorno (forse proprio per il fatto che Peter non c’era) le sirene lasciarono che Lord Bryan e i suoi arrivassero in volo molto vicino al loro scoglio dove si pettinavano voluttuosamente e poi si tuffarono facendo una quantità di giravolte aggraziate. La sua mente sagace che nulla dimenticava quando si trattava di affari, gli aveva fatto ricordare di porre nello zaino alcuni barattoli di Riciclato Jones, Speciale Pancetta e lì, volando su quelle acque color di smeraldo, aprì una scatoletta e ne fece cadere il contenuto nell’oceano ottenendo così che alcune decine di voracissimi barracuda accorressero di colpo disputandosi ferocemente i prelibati brandelli di cibo piovuto dall’alto.
“Gli piace!” disse compiaciuto il conte.
“Forze perké pesci non afere narici!” sentenziò il professore, ma in quel mentre le acque sotto di loro si agitarono perché un nuovo enorme contendente era venuto a disputarsi il cibo e dagli abissi emerse un immenso coccodrillo dalle fauci spalancate.
“Favoloso!” disse il conte “Una volta o l’altra riuscirò a portare qui i giapponesi, chissà come saranno felici di assistere a questo spettacolo!”
Poi guardò meglio il coccodrillo:”Dovremo prima o poi trovare un “logo” per gli oggetti che venderemo nella boutique dell’albergo, che ne so, magari per le T-shirt. Quel coccodrillo potrebbe essere una buona idea, qualcosa mi dice che un logo così dovrebbe avere successo…”
Dopo i primi giorni passati in rilievi e prospezioni, il gruppo si acquartierò al limite dei Beati Territori di Caccia per valutare i due ultimi aspetti individuati dal conte, la caccia, appunto, e la realizzazione di un campo di golf.
Anche su questi punti il conte aveva le idee chiare e si riservava di parlarne ai suoi collaboratori quella sera, a cena, dopo avere fatto il campo.
Purtroppo per lui Peter Pan scelse proprio quella sera per tornare nell’isola.




mercoledì 23 novembre 2011

Capitolo 9 - Amici, Nemici, Ex Amici, Ex Nemici & Soci



Peter arrivò in vista dell’isola poco prima del tramonto ed al suo occhio d’aquila non sfuggì qualcosa di strano che però nemmeno lui avrebbe saputo ben definire. Dall’alto, in effetti, non vedeva alcun particolare trambusto nell’isola, non c’era agitazione sospetta, notò però che le sirene non erano al loro solito posto sulla Roccia del Teschio, il coccodrillo girava vorticosamente intorno allo scoglio come se si aspettasse di veder cadere Uncino nell’acqua da un momento all’altro e il Grande Capo scrutava il cielo preoccupato mentre i suoi guerrieri battevano lugubri colpi sui loro tam tam intonando la triste nenia dell’Alce Azzoppato.
Peter volò subito alle dimore sotterranee dove trovò i Bimbi Smarriti rincantucciati nei letti come sgomenti per qualche infausto presagio. Anche Pennino e Volpuccio solitamente allegri, erano tristi e i Gemelli non riuscivano a farsi compagnia nemmeno tra loro.
“Che succede ragazzi?” chiese Peter cercando di mettere allegria nella voce.
“Il cielo cade su di noi!” dissero in coro i ragazzi.
“Ma che dite mai!” protestò Peter.
“Scendono dal cielo animali enormi…”disse Orsetto.
“…con strani strumenti per misurare la terra!” aggiunse Trombetta.
Era difficile anche per Peter capire cosa potesse avere così tanto spaventato i ragazzi e decise pertanto di volare al campo indiano.
“Odore di morte nei Grandi Territori di Caccia!” disse il Gran Capo in risposta alle domande di Peter “Grandi guerrieri volanti cerca Peter intorno e non trova…”
Occorreva dunque affrontare il mistero che si annidava nei Grandi Territori di Caccia e Peter, sapendo che questo era compito del capo, non si tirò indietro.
Ormai era scesa la sera ed il buio lo proteggeva per cui volò spavaldamente senza precauzioni verso l’inizio dei Territori e ad una certa distanza vide un grande falò che illuminava alcune tende davanti alle quali si muovevano parecchi uomini.
Non erano né indiani né pirati. Chi mai potevano essere? Decise allora di percorrere a piedi l’ultimo tratto nascosto tra gli arbusti.
Strisciò come un ratto avvicinandosi al fuoco mentre il suono delle voci si faceva più distinto. Una, più forte ed autoritaria delle altre disse:
“Allora, signor Hodmen, a che punto sono i progetti?”
E una monotona voce dal pesante accento strascicato illustrò anche a beneficio di Peter il drammatico scenario turistico che tanto stava a cuore a Lord Rubbish, il tutto condito da preventivi di costi e accessori…
“…Resta soltanto da definire cosa vogliamo fare qui, ai territori di caccia, milord!”, concluse la voce.
“Bene!” riprese la voce autorevole che aveva l’accento tipico di un grande college inglese e che ricordava stranamente quella di Uncino “Per questa zona ho due idee. Qui, dove siamo, faremo prima di tutto un grande campo da golf, completo di club house.
I Ragazzi Perduti saranno degli ottimi caddies e lavoreranno a costo zero, dopo che avremo tolto loro quelle ridicole pelli d’orso di dosso. Se protesteranno per la paga o per la divisa li affiderò a Johnny il Fetido e al suo randello!”
Crasse risate risuonarono intorno al fuoco mentre un brivido scorreva lungo la schiena di Peter e la sua mano stringeva più forte il coltello.
“Qui nella prateria – riprese la voce - organizzeremo partite di caccia per i nostri clienti, ma, e vorrei che prendeste buona nota di questo, dobbiamo organizzarci fin d’ora per fare qui anche la caccia alla volpe. Qualcosa mi dice che prima o poi qualche odioso governo progressista vorrà abolirla in Inghilterra e allora l’aristocrazia britannica se vorrà ancora cacciare la volpe dovrà venire qui da me, da Lord Ffink Pfenninger Jones, nel mio albergo, sui miei cavalli, con i miei cani e dovrà stare dietro ai miei Masters…
E’ sui campi da golf ed ai parties che seguono le partite di caccia alla volpe che in Inghilterra si combinano i migliori affari, e così a combinarli sarò sempre io…”
Appena udì pronunciare il nome Ffink Pfenninger Jones, per Peter fu tutto chiaro! Quello che stava parlando era lo zio di William! Allora era stata tutta una trappola! Un ghigno contorse il tenero viso di Peter scoprendone i denti e si trattenne appena in tempo dal lanciare il suo mitico grido di vittoria. Non era ancora il momento di attaccare o gioire, perché doveva prima conoscere tutti i loro progetti.
Poi un’altra voce dal pesante accento gutturale emerse dal buio:
“Milort, io non sa se Peter Pan sarà felice ti afere tutti kuesti turisti su sua isola…”
Come ahimé sappiamo benissimo, Peter aveva pochissima memoria ma quella voce…quella voce gli ricordava qualcuno…Sembrava quella di uno dei tanti Bimbi Smarriti che aveva accolto nella sua isola, ma tanti anni fa…Uno di quelli che poi aveva preferito crescere…
Peter fremeva: doveva ancora disperatamente ottenere delle informazioni, avrebbe voluto andare a parlare con loro ma non voleva assolutamente essere riconosciuto da Otto.
Ebbe l’idea di travestirsi.
Il campo indiano era per fortuna molto vicino e Peter vi volò direttamente col rischio di essere individuato dagli uomini del conte. Al campo, con l’aiuto di Giglio Tigrato che si divertiva moltissimo, mise pantaloni di cuoio, un collare di perline colorate proprio come un bimbo Piccaninny, piume d’aquila fra i capelli e dipinse il volto con i colori della tribù. Il travestimento fu reso più avventuroso dal fatto che Trilly, che non sopportava Giglio Tigrato e che diventava addirittura furiosa se la vedeva accanto a Peter, cominciò a fare dispetti mischiando i colori, nascondendo i pennelli costringendo così Peter, all’ennesimo scherzo, a imprigionarla sotto il grande tamburo di guerra. Attraverso la pelle tesa del tamburo però si vedevano i furiosi bagliori di luce di Trilly che non poteva più assistere al trucco di Peter. Giglio Tigrato, normalmente molto contenuta e di poche parole, cominciò invece a bella posta a fare risolini, a usare con Peter toni eccessivamente carezzevoli che indussero Trilly ai peggiori sospetti. Finalmente il travestimento fu completato, Trilly liberata e Peter andò all’accampamento del conte ed entrò nel cerchio di luce creato dal fuoco che era stato acceso al centro dello spiazzo camminando lentamente.
“Augh!” - disse alzando una mano in segno di pace – “Odore di cibo attraversa prateria e arriva fino a tende di Piccaninny. Piccola Freccia venuto di molto lontano…”
“Oh, pofero pimpo, tu molto affamato?” chiese gentilmente la voce dallo strano accento gutturale.
“Sì, molto grande uomo che vola! Come tu fa a venire volando?” disse con finta ingenuità Peter.
“Ach! Kon polfere magika!” rispose amabilmente il dottore.
Peter guardò allora Octopus con aria di finta ammirazione e domandò candidamente “Tu fata allora o tu grandissimo uomo di medicina?”
“Oh, nein, io no fata! – rispose Octopus divertito – “Io fa sì polfere per folare, ma io fa kon mia makkina in posto putzolente di Lontra!”
Il cuore di Peter sobbalzò e stava per porre un’altra domanda quando si udì la voce di Lord Bryan venire fuori dall’ombra:
“Senti bambino, ti piacerebbe imparare a giocare a golf?”
“Augh! A Piccola Freccia molto piacerebbe giocare, anche a compagni piacerebbe imparare…”
Peter parlò con tutti, ma tratteneva a stento l’eccitazione per aver capito che la polvere veniva fabbricata, chissà come, vicino Londra, nel luogo dove aveva trovato Wendy, Betty e William, e che, a fabbricarla, era stato proprio Otto, che una volta era stato un Bimbo Smarrito.
Doveva ottenere ancora un’ultima informazione e cercò di carpirla subdolamente proprio a quel maestro di inganni che era Lord Bryan “Siete molto pochissimi voi qui, Grande Uomo Che Vola, ma in isola ci sono pirati e belve e coccodrillo che vogliono mangiare noi bambini…Come voi difendere noi quando noi gioca a vostro gioco di golf?”
E qui il conte, troppo ansioso di tranquillizzare l’innocente bimbetto e i suoi amici per far fare loro da caddies senza salario al suo club, svelò a Peter che presto sarebbe ritornato nell’isola con un foltissimo gruppo di operai e soldati con armi per fare grandi case di pietra e difendere lui e i suoi amichetti da qualunque attacco.
E il conte concluse con la sua solita aria di superiorità: “E se i pirati vorranno combattere, sfrutteremo la nostra superiorità aerea. Da ora in poi le guerre le vincerà chi avrà la superiorità nei cieli!”
“Oh Grande Capo Bianco!” disse Peter facendo la faccina più ammirata che poté “Molto bello avere uomini volanti nell’isola a noi proteggere!
Noi piccoli Piccaninny assieme a Bimbi Smarriti fare per Grandi Uomini Che Vola qualunque cosa! Domani noi venire a vostro campo per avere istruzioni. Così mentre voi stare lontani da isola noi fare vostri scout e prendere informazioni su pirati, su belve e su tutto per voi!”
“Hai stoffa, ragazzo!” disse magnanimo il conte “Come hai detto che ti chiami?”
“Piccola Freccia è mio nome. Quello che tu detto ora, Grande Uomo Che Vola, stare per sempre in mio cuore e anche Piccola Freccia vuole entrare forte e stare sempre in tuo cuore!” disse con un ambiguo sorriso Peter Pan accomiatandosi ed allontanandosi a piedi nel buio.
Appena fu lontano si alzò in volo e si diresse alla Laguna delle Sirene verso la quale, al suo arrivo nell’isola, aveva visto veleggiare il galeone corsaro.
Scese in picchiata sulla nave dove i pirati dormivano e che sembrava totalmente deserta e percosse violentemente la campana di bordo svegliando tutti, poi si piazzò sulla coffa.
“Uncino! Svegliati Uncino! Debbo parlarti!” gridò dall’alto mentre dai boccaporti cominciava a uscire vociando la ciurma.
“Capitano! Capitano! C’è Peter!” urlò Spugna scorgendolo e prendendolo subito di mira con la pistola.
“Spugna! Questa volta non sono qui per combattere, ma sono venuto a parlare! Svegliatemi Uncino…”
In quel momento il boccaporto centrale del Jolly Roger si aprì e ne uscì Uncino che si stava ancora infilando la giacca.
Il feroce pirata odiava essere svegliato e trovava per di più molto indecoroso salire sul ponte tra i suoi uomini mostrando loro un aspetto trasandato. Cercò di darsi un tono mettendo a posto con noncuranza i merletti che gli uscivano dalla manica della giacca dalla parte dell’uncino, e chiese con aria indifferente:
“Bene, Peter, questa notte mi sento generoso. Parla, ti ascolto. Ma ti do solo cinque minuti per parlare, poi ordino il “Fuoco” alla ciurma. Tenetevi pronti, ragazzi!”
“Sono venuto da solo Uncino, - disse Peter - e sono venuto in pace a chiedere il tuo aiuto. Un grave pericolo minaccia l’isola e te e i tuoi pirati. Ma non posso certo parlarti da quassù! Se vuoi ascoltarmi, fai mettere giù le armi alla ciurma, poi ci mettiamo intorno ad un tavolo e ti racconto tutto!”
Uncino ci pensò un momento poi rispose:
“Io di te non mi fido Peter! Tu invece, se vorrai parlarmi, dovrai fidarti di me! Se il pericolo è reale ti prometto che non spareremo, te ne do la mia parola. Ma tu dovrai scendere fra noi!”
Peter non avrebbe mai dovuto fidarsi di Uncino, direte voi, e infatti, appena mise piede sulla tolda del Jolly Roger, Uncino gridò “Prendetelo!”, e tutti i pirati si gettarono su di lui.
Ma Peter non era certo impreparato e con un balzo laterale schivò abilmente la rete lanciata da Spugna per immobilizzarlo e schizzò verso l’alto fra una gragnola di proiettili.
“Verme schifoso!” urlò a sua volta ad Uncino “Non varrebbe proprio la pena di salvare la vita a te e ai tuoi ribaldi! Vuoi combattere? E combatti allora! Però, se non sei un vigliacco, fai scendere la tua ciurma sotto coperta e facciamo parlare le spade! Se vinco io loro dovranno ubbidirmi e anche tu dovrai obbedirmi, ammesso che tu sopravviva al duello!”
Uncino non poteva certo dar prova di vigliaccheria davanti ai suoi uomini e così dovette per forza accettare la sfida.
A lungo combatterono e la furia di Uncino costrinse Peter a una difesa che Peter sembrava subire sempre più debolmente, arretrando, sfuggendo agli a fondo, parando i colpi di Uncino in affanno tra le grida entusiastiche dei pirati che seguivano la contesa dalle feritoie dei boccaporti. Poi Uncino cominciò ad apparire affaticato e a quel punto Peter cominciò a deriderlo e a provocarlo, riaccendendone l’ira e provocando nuovi assalti che stremarono il pirata. Solo quando lo vide completamente senza fiato Peter, che era invece freschissimo, cominciò ad incalzarlo a sua volta spingendolo verso la murata esterna.
Uncino era ormai divenuto rosso come un peperone e non ce la faceva più nemmeno a tenere sollevata la lama e allora, quando fu del tutto incapace di difendersi, Peter gli puntò la spada alla gola, mente dal mare, sotto la murata, saliva un ticchettio che fece divenire cadaverico il volto di Uncino fino ad un momento prima paonazzo per la fatica:
“Ti offro una scelta, Uncino: lama, coccodrillo, o trattativa, dimmi, che preferisci?”
Quale pensate fu la scelta di Uncino?
“Trattativa, Peter, trattativa!” gemette il pirata cercando di scrutare con la coda dell’occhio le nere acque dell’oceano.
Costretto con la forza ad ascoltare Peter, Uncino fu invece presto sopraffatto dalla rabbia venendo a sapere dei piani di invasione del conte.
I suoi occhi divennero fiammeggianti, dal suo bocchino a due fuochi si sprigionarono nuvole di fumo e scintille, e cominciò a misurare con grandi passi la tolda della nave tra i brusii preoccupati dei pirati ancora chiusi nelle stive che seguivano di lontano la scena senza poter capire nemmeno una parola.
“Come?! Quel marrano vuol portare i turisti a pranzo sul mio galeone? Pensa forse che Uncino glielo consentirà? Uomini, udite!” - disse rivolto alla ciurma, e narrò loro, che lo ascoltavano attraverso i boccaporti, chiusi com’erano nelle stive, i progetti del conte e concluse - “Voi volete che quel ribaldo vi trasformi in aggraziate servette per cucinare il pranzo ai suoi turisti, proprio qui su questa nave che ha visto le vostre leggendarie imprese, o vorrete piuttosto combattere per la vostra libertà, per la vostra nave, per la vostra isola, per il vostro capitano?”
“Combattere! Combattere!” – urlarono i pirati - “Combattere fino alla morte!” questa fu l’impavida risposta di quella feccia dei mari.
“Hai sentito, Peter?” disse soddisfatto Uncino “Puoi contare su di loro. Per una volta tu ed io combatteremo insieme! Li uccideremo tutti! Taglieremo loro la gola uno ad uno, impediremo loro di tornare a Londra, e nessuno ne sentirà mai più parlare. L’Isolachenoncè sarà per loro l’Isoladelnonritorno!
Quanti sono e chi li comanda?” chiese alla fine.
“Non sono molti, ma sono bene armati, possono volare e li comanda uno che parla come te Uncino, uno che si chiama Ffink Pfenniger Jones!”
Per sua fortuna il viso di Uncino in quel momento non era illuminato e nessuno poté vedere l’espressione che gli attraversò il volto. Perché Uncino trasalì?
Il pirata rimase qualche istante in silenzio nell’ombra quasi avesse timore che mostrando il suo viso o parlando potesse in qualche modo tradirsi. Quando riacquistò il controllo delle proprie emozioni venne verso la luce e fece una strana domanda. Devo dirvi però, ad onor del vero, che Peter non percepì nulla di sospetto nelle sue parole apparentemente innocenti:
“Ffink Pfenninger Jones, come?” fu la domanda di Uncino.
“Parli proprio come lui!” rise Peter che era abilissimo nell’imitare gli accenti, e scimmiottando la pronuncia del conte sillabò “Ma Lord “Bryan” Ffink Pfenninger Jones, mi chiamo, cribbio!” –poi riacquistò la sua voce e aggiunse – “Io invece gli ho detto che il mio nome è Piccola Freccia una freccia che trapasserà domani il suo cuore! Lo ucciderò con le mie mani!”
“Peter se vuoi la mia alleanza devi lasciare a me il suo destino.” – disse Uncino guardandosi con fare noncurante le unghie – “Voglio essere io a decidere della sua vita. Se vuoi avermi alleato me lo devi promettere. E’ una condizione!”
“Va bene, concesso!” fece Peter magnanimemente “Vorrà dire che allora io mi riservo la vita di uno della sua banda, un infame traditore che una volta era stato qui con me nell’isola. Dobbiamo fare un piano per distruggerli. Dovremo avere con noi anche i pellerossa che sono minacciati quanto noi da questo verme di un Ffink Pfenninger Jones! Comunque il piano facciamolo tu ed io anche per loro. Mi chiamano il loro Grande Padre Bianco, non faranno alcuna difficoltà e mi ubbidiranno ciecamente!”
Peter aveva le idee molto chiare: gli uomini di Lord Bryan erano pericolosi perché volavano ed erano molto ben armati. Occorreva pertanto prenderli di sorpresa, mentre erano a terra e lontani dalle armi.
La sera successiva – disse - sarebbe andato al campo degli invasori con tutti i Bimbi Smarriti alcuni dei quali, come lui, sarebbero stati travestiti da Piccaninny. Era atteso al campo con altri bambini e lui e i suoi compagni avrebbero avuto, almeno agli occhi dei nemici, un aspetto mite ed indifeso. Si sarebbero messi a raccontare storie dell’isola per distrarli e avrebbero fatto rumore per coprire l’avanzare di Uncino e dei pellerossa. Quando gli avversari meno se lo fossero aspettati, ad un segnale di Peter, sarebbe stato sferrato l’attacco.
Parlarono a lungo. Ma cos’era quella strana luce che Uncino aveva negli occhi quando Peter lasciò la nave? L’infido pirata preparava già il tradimento? Quale oscuro legame univa il leggendario capitano del Jolly Roger a Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones? Riuscirà Peter a salvare l’isola dall’assalto dell’infame Lord Rubbish?



martedì 22 novembre 2011

Capitolo 10 - Vittoria, perdono e tradimento



Peter volò al campo pellerossa, spiegò il suo piano al Gran Capo e debbo dire che, con molto poca delicatezza, raccontò nei dettagli non solo i progetti del conte, ma anche il ruolo di hostess che in futuro Lord Bryan avrebbe voluto assegnare a Giglio Tigrato in albergo.
I fieri occhi della bella principessa avvamparono a sentire quella storia. Debbo purtroppo dire che Peter nel raccontarla ne rise moltissimo e così il furore di Giglio Tigrato per quell’ulteriore umiliazione non riusciva proprio a placarsi tanto che chiese ed ottenne di partecipare all’attacco della sera dopo per strappare personalmente al conte lo scalpo.
Con molta leggerezza Peter purtroppo acconsentì alla sua richiesta, non accorgendosi che così stava tradendo l’impegno già assunto con Uncino.
La sera successiva Peter con i Bimbi Smarriti si presentò al campo di Lord Bryan dove fu accolto con mielosa cortesia dall’infido conte che adesso, oltre a vederli con la fantasia già lavorare gratuitamente carichi di sacche piene di palle e di mazze da golf, si apprestava ad ingaggiarli (sempre senza compenso), anche come scout.
Peter nell’avvicinarsi al campo rilevò quante sentinelle ci fossero e contò solo sei uomini. Ma né Lord Bryan né i suoi nutrivano, a dire il vero, proprio alcun sospetto: nei giorni precedenti infatti tutto era stato sempre calmo e tranquillo e nessuno li aveva mai infastiditi e così le sentinelle, adesso, sembravano tutte molto distratte.
Peter presentò i compagni, chiese del cibo proprio come aveva fatto la sera prima poi, quando vide tutti rilassati, propose di giocare insieme a pallone. Prima di ogni partita, disse Peter, i Bimbi Smarriti usavano abbracciarsi per gridare il loro inno e così, tutti abbracciati, gridarono forte, per sei volte “CHICCHIRICHI’” per segnalare ad Uncino e a Gran Capo che di guardia c’erano solo sei sentinelle.
Mentre tutti erano distratti dal gioco, pirati ed indiani strisciarono silenziosamente tra i cespugli e neutralizzarono con facilità le sentinelle. Ogni volta che ne uccidevano una, lanciavano a Peter il segnale convenuto facendo l’Ululato del Coyote Con La Spina Nella Zampa.
Quando Peter sentì risuonare per la sesta volta il lugubre ululato, sospese il gioco chiedendo il time-out e durante la sosta ognuno dei Bimbi Smarriti si avvicinò, come casualmente, ad uno degli invasori. Peter, ovviamente si pose accanto a Lord Bryan ed al momento giusto estrasse il pugnale e lo puntò alla gola del conte mentre gli altri facevano lo stesso, e gridò “CHICCHIRICHI’!” e al suo grido dall’ombra emerse un numero enorme di pirati e pellerossa che con la loro superiorità numerica schiacciante convinsero gli invasori a non tentare nemmeno il più piccolo gesto di ribellione.
Ma a turbare quella straordinaria vittoria che il piano di Peter aveva reso anche troppo facile, giunse come una furia Giglio Tigrato per compiere la sua vendetta.
Ma Uncino si pose tra lei e Lord Bryan sbarrandole il passo e afferrandole il polso:
“Fermati squaw!” – sibilò minacciosamente Uncino – “Quell’uomo è mio! Diglielo Peter!”
Fermare Giglio Tigrato non è impresa da poco e anche Peter Pan dovette chiedere l’intervento di Gran Capo per fermarla. Nessuno dei due contendenti voleva rinunciare al privilegio di decidere la sorte di Lord Bryan e così Peter decise che si sarebbero riuniti tutti l’indomani mattina per discutere tutti insieme della sorte dei prigionieri.
Un attento osservatore che fosse stato presente a quella drammatica scena avrebbe però potuto notare che Uncino aveva sempre evitato di mostrare il suo volto a Lord Bryan, e noi dobbiamo continuare a porci la domanda: perché si comportava così?
Peter, nel frattempo, non essendosi accorto dell’atteggiamento di Uncino, temeva che il conte e i suoi uomini, ancora coperti di polvere Simil Fata Jones, potessero fuggir via volando e quindi, per prima cosa, li fece legare come salami, poi divise le loro armi ed i loro beni tra pellerossa e pirati, e solo dopo ci si apprestò a festeggiare.
Uncino si avvicinò a Peter con il passo dinoccolato che aveva appreso nei suoi anni giovanili nella prestigiosa scuola che aveva frequentato prima di dedicarsi alla pirateria. Stringeva mollemente in mano un fazzoletto orlato di trine che agitava leziosamente davanti al volto come se fosse stato raffreddato (o lo faceva – direste voi - per non farsi riconoscere dal conte?), e parlò con aria annoiata:
“Peter, non vorrai certo festeggiare qui, bivaccando nella prateria! Nemmeno i pellerossa lo fanno! Legati come sono, questi topi di fogna non possono certo fuggire: lasciamoli qui e andiamocene a festeggiare la vittoria al villaggio dei Piccaninny e poi domani, dopo la riunione con il Gran Capo, taglieremo loro con calma la gola!”
Stavano per fare quello che Uncino aveva richiesto, che Octopus, che aveva ascoltato tutto, cominciò a gridare:
“ Peter, ti preko, in nome ti antika amicizia! Tu no lascia me qui! Io fatto kuesto zolo per tornare a Izola!”
Per capire il senso di quelle che furono poi le decisioni di Peter bisogna capire quali erano stati, a suo tempo, i rapporti tra i due.
Come tutti sanno Peter è stato allevato dalle fate e dagli uccelli, non ha mai avuto una mamma che lo portasse a scuola e quindi non ha mai imparato a leggere e scrivere. Anzi, il fatto di non essere mai stato a scuola costituisce per lui uno dei suoi massimi punti di orgoglio.
“Sanno leggere le fate? Sanno scrivere gli uccelli?” dice sollevando il nasino con aria stizzita quando qualcuno cerca di entrare in argomento “Fanno di conto le sirene?”
Il non andare a scuola è anzi uno dei punti fermi nel “credo” di Peter che vede nella scuola il primo e più terribile gradino della crescita: “Se i bambini quando crescono vanno a scuola vorrà dire che io non andrò mai a scuola, e quindi non crescerò mai!” era questo il terribile sillogismo (parola questa che adesso a scuola nemmeno insegnano più) con cui Peter rispondeva a chi gli parlava dei benefici dell’istruzione.
Peter però, proprio come gli uccelli che lo hanno allevato, è sempre stato dotato di una grandissima curiosità. E’ capace di stare per ore e ore a guardare un volatile di una razza a lui sconosciuta fare il suo nido, ed una volta, parlando ai Bimbi Smarriti, ha detto che lui conosce ben 4.256 modi diversi di fare un nido! C’è da domandarsi come sia arrivato a quel totale, visto che dichiara di non saper fare le addizioni, ma certo di modi per fare il nido deve conoscerne molti.
Peter passa anche ore a guardare le interminabili code di formiche che entrano ed escono da un formicaio e qualche volta il suo spirito di ricerca gli fa mettere dei sassi o dei fuscelli sui loro percorsi per vedere come reagiscono. Gli sforzi delle povere formiche, debbo ammettere, lo divertono molto poi, certo, non sapendo scrivere, non può fare un resoconto delle conclusioni scientifiche che ne ha tratto e quindi, non potendo fare alcun resoconto, quando comincia ad annoiarsi va a fare un’altra cosa.
Bene, direte voi, ma questo che c’entra con Otto?
C’entra nel senso che quando il piccolo Otto era uno dei bimbi smarriti nell’isola, lui e Peter erano sicuramente i due più curiosi del gruppo. La mamma di Otto, quando lui era piccolissimo, prima che fuggisse di casa, gli aveva insegnato un poco a scrivere e il piccolo Otto che faceva a gara con Peter nell’osservare il mondo, ad un certo punto aveva cominciato a scrivere i risultati delle sue osservazioni sulle pareti della casa sotterranea, sulle cortecce degli alberi, sulla sabbia del mare ed era molto dispiaciuto quando il vento o il mare cancellavano le sue osservazioni.
Peter invece era abituato a dimenticare, anzi, dimenticare era per lui un elemento di felicità ”Scoprire la bellezza di una cosa è una grande gioia” – diceva – “se io la dimentico, ebbene, ogni volta che la riscopro riprovo la stessa grande gioia della prima volta. Quindi dimentico le cose belle per essere più felice.
Il ricordo delle cose brutte, invece” – proseguiva – “rende infelici anche quando la cosa brutta è passata, quindi…dimentico anche quelle per non essere infelice!” concludeva.
Con due personaggi così curiosi, ma anche così diversi, potete immaginare i litigi che ci furono all’epoca tra Peter e il piccolo Otto la cui precoce mente scientifica era sempre portata a scrivere, classificare, confrontare…
Otto infatti, che annotava tutto, ogni tanto rimproverava Peter per certe sue affermazioni “Non è fero ke hai sconfitto ta zolo 50 pirati! Erano zolo 4 e ti aiutavo io, lo rikorto penitzimo perké l’ho scritto zu questa corteccia ti alpero…”
La cosa faceva sempre infuriare Peter:
“Da uno come te” - diceva Peter furibondo – “ci si può aspettare di tutto…Otto, stai attento! Se non cambi un giorno o l’altro finirai a scuola…”
Ma Otto continuava imperterrito a scrivere, annotare, classificare.
“Vedrai dove ti porterà la tua mania di scrivere e studiare!” gli diceva saggiamente Peter, e fu così che Peter temendo che le brutte attitudini di Otto fossero di cattivo esempio per gli altri Bimbi Smarriti non si lamentò affatto quando, con la ridicola scusa che aveva bisogno di un quaderno e una matita, Otto un giorno uscì dalla casa nell’albero e se ne andò.
“Imparerà a sue spese com’è fatto il mondo degli adulti!” aveva detto Peter agli altri alzando gli occhi al cielo.
Ed ora i casi della vita avevano voluto che proprio Otto gli capitasse davanti, colpevole, sconfitto, legato, esempio vivente (ancora per poco) di quanto Peter avesse avuto ragione.
Certo uno come Peter non poteva resistere alla terribile e tanto umana tentazione del “Te l’avevo detto, io!?”
Così, pur sapendo che non è affatto bello infierire sul nemico sconfitto, andò di fronte ad Octopus che continuava a piangere e a chiedere clemenza, e a gambe larghe e con le mani sui fianchi, gli sparò in viso il più terribile insulto di cui fosse capace:
“ Chiedi pietà? E invece meriteresti di essere lasciato proprio qui, SAPIENTONE! Quante volte ti ho detto che saresti finito male! Vedi come si rovina la gente a voler andare a scuola e a studiare?”
Dopo questa sfuriata tutti stavano guardando Peter che non poteva evitare di pronunciare pubblicamente la sua sentenza.
A questo punto però dobbiamo ricordare a tutti che Peter era nato in Inghilterra e che in lui il senso della giustizia non travalicava mai nello spirito di vendetta.
Le lacrime di Otto ne dimostravano l’avvenuto pentimento ed in fondo era questo che ogni buon giudice deve volere. Peter diceva sempre però che la giustizia oltre che redimere deve anche costituire un esempio per evitare che altri commettano gli stessi errori. Lì, davanti a tutti i Bimbi Smarriti, davanti ai pirati e ai Piccaninny schierati, Peter doveva quindi necessariamente pronunciare una sentenza esemplare salvando però la vita al povero Otto.
“Toglietegli di dosso la polvere per volare perché non possa fuggire,” – disse Peter dopo un attimo di riflessione – “poi scioglietegli i legami e scaraventatelo nell’Abisso degli Orrori! Ci resterai” – disse poi rivolto a Otto – “finché non avrai dimostrato il tuo effettivo pentimento!”
“No! L’Abisso no!”, “No, Peter, sii clemente, non nell’Abisso…”, “No, Peter, è troppo!”, così dissero in coro i Bimbi Smarriti ascoltando pronunciare quella sentenza con i volti stravolti dalla paura.
Nessuno di loro era mai stato nell’Abisso, ma ne conoscevano bene l’esistenza e l’ubicazione.
Ogni volta infatti che qualcuno di loro trasgrediva alle ferree regole di Peter questi guardava il colpevole negli occhi e diceva ”Attento! Se fai ancora così, ti mando nell’Abisso…”, oppure volando verso la Laguna delle Sirene, quando sorvolavano la parete scoscesa ed impervia che fronteggiava la Roccia del Teschio, additava l’ingresso di una grotta a mezza costa e diceva “Ragazzi, quello è l’Abisso. Attenti a quello che fate, sennò…”
Octopus però, pur essendo stato a lungo nell’isola, non aveva mai sentito parlare dell’Abisso. La soddisfazione comunque di sapere di aver avuto salva la vita gli faceva superare facilmente la paura dell’ignoto.
“Krazie Beter, non ti bentirai ti tua klemenza, krazie!” disse Otto mente due Bimbi Smarriti lo portavano subito in volo verso l’Abisso.
Risolto anche questo problema finalmente si poteva tutti andare al campo Piccaninny a festeggiare.
I festeggiamenti furono grandiosi: le squaw del campo avevano preparato tanti diversi succulenti arrosti serviti su foglie di mais, pannocchie arrostite, patate cotte sotto la cenere, tortillas condite con salse piccanti, patatine fritte, dolci al miele, banane arrostite con succo di lamponi e tanta tanta frutta che, chissà perché, i Bimbi Smarriti guardavano e facevano “Puah!”
Al pranzo non partecipava Giglio Tigrato, ancora infuriata per non aver potuto lavare nel sangue le offese ricevute da Lord Bryan, e molto presto anche Uncino, che non amava mai mischiarsi ai suoi uomini al momento dei festeggiamenti per il modo molto poco signorile con cui gozzovigliavano, si allontanò in silenzio, senza salutare nessuno.
Nella prateria intanto, Lord Bryan e i suoi uomini attendevano atterriti l’arrivo dell’alba dell’ultimo giorno della loro vita e si domandavano se mai l’avrebbero vista perché dal buio che li circondava giungevano agghiaccianti fruscii e alla luce incerta delle stelle potevano vedere le sagome minacciose dei predatori che si aggiravano famelici nella notte.
Quando era quasi l’alba, un’ombra più silenziosa e guardinga delle altre si avvicinò strisciando ai prigionieri e giunta nei loro pressi una figura umana si alzò repentina ed una mano afferrò i capelli di Lord Bryan che lanciò nel bavaglio un grido strozzato.
“Tu adesso vedere come Giglio Tigrato tratta turisti!” sibilò all’orecchio del conte una gelida voce femminile mentre l’altro braccio si alzava stringendo un pugnale “Tu adesso paga a tua hostess conto di albergo con scalpo!”.
“Pack!” fece il calcio di una pistola materializzatasi improvvisamente dal nulla, colpendola alla nuca e facendola afflosciare svenuta per terra.
Chi era il nuovo arrivato?
Una nuova ombra, avvolta in un nero mantello, torreggiava infatti sui prigionieri.
“Bryan!” – disse una voce il cui accento risultava familiare all’orecchio del conte – “Adesso taglierò i tuoi legami e quelli dei tuoi uomini, ma devi giurarmi sul tuo onore di Scarafaggio, che non tornerai mai più nell’isola!”
Chiedere a Lord Bryan di giurare sul suo onore era, come nella City tutti sapevano, come invitarlo espressamente a mentire, perché certo nessuno può chiedere mai ad un uomo d’affari di successo di dire la verità, come avevano imparato da tempo gli agenti del Fisco di Sua Maestà.
Ma sorprendentemente l’ombra aveva chiesto al conte di giurare “sul suo onore di Scarafaggio”: chi era dunque l’uomo misterioso che lo sovrastava nella notte? Come poteva quell’ombra sapere che il conte, a Oxford, aveva fatto parte dell’esclusivo e segretissimo club degli Scarafaggi, i cui impegni erano sigillati da un patto di sangue?
“Giura!” – incalzò l’ombra – “Dì: Giuro sul mio onore di Scarafaggio che non tornerò mai più nell’isola, né mai permetterò a nessuno di tornarci e che mai comunicherò ad alcuno la direzione da prendere per trovarla! Dì: Io, Bryan Ffink Pfenninger Jones, Scarafaggio di Prima Categoria, Membro della Segreta Confraternita Degli Scarafaggi, sul mio onore scarafaggesco LO GIURO! ”
Era proprio la formula dell’inviolabile giuramento rituale del club quella che l’ignoto gli stava recitando nella notte in un’isola il cui cielo ricolmo di stelle era così diverso da quello di Oxford, mentre intorno ululavano i coyotes.
E su quella formula il conte solennemente giurò, terrorizzato che Giglio Tigrato risvegliandosi lo trovasse ancora legato.
“Andate via, adesso! Avete ancora sufficiente polvere per volare?” chiese l’ignota figura.
“Noi tutti indossiamo eccellenti zaini “Overtherainbow Jones”, modello lusso, con otto comodi contenitori di riserva di speciale polvere Simil Fata Jones per volare sicuri!” rispose orgoglioso il conte “Ma io, piuttosto, chi debbo ringraziare?”
“Un amico” rispose la figura ritirandosi nell’ombra “Un amico…”