giovedì 24 novembre 2011

Capitolo 8 - Lord Rubbish alla conquista dell’Isolachenoncé



La spedizione, capitanata da Lord Bryan in persona, arrivò in vista dell’isola quando Peter non era ancora tornato.
Il conte che dalla lettera di Betty, dalle confidenze di Wendy e dai resoconti del professore aveva avuto tante preziose informazioni sull’isola e sul viaggio, aveva organizzato per quella prima spedizione un agile convoglio composto solo da poche guardie ben armate, da alcuni ingegneri edili, da sé stesso e da Otto. Lo scopo era infatti quello di fare i rilievi necessari per la costruzione dell’albergo e di preparare i piani per l’occupazione definitiva di quello che era destinato a divenire il centro dell’Impero della Famiglia Ffink Pfenninger Jones.
Ovviamente, prima di partire si erano tutti minuziosamente allenati per imparare a volare. Il conte, sempre organizzatissimo, aveva fatto allestire un grande capannone tutto imbottito di cuscini dove effettuare le prove.
All’inizio il problema principale fu solo quello delle gran testate che tutti davano al soffitto o che si davano fra loro quando svolazzavano senza controllo. Oltre i cuscini furono pertanto subito adottati elmetti di tipo militare salva-testa imbottiti che il conte però non trovò adatti ad una futura commercializzazione e pertanto chiese che per il suo ritorno fosse predisposto un modello di design più accattivante. Per quanto personalmente poi lo riguardava, il conte, che non amava certo le brutte figure, si allenava da solo, quando il capannone era vuoto. Faceva le prove legato ad una fune (fune la cui altra estremità era saldamente nelle mani di Homer, il capo dei suoi stallieri che fungeva da personal trainer) e, così assicurato, faceva esercizio con Homer che lo tirava giù se si avvicinava troppo al soffitto o alle pareti evitandogli rovinose capocciate.
Le lunghe sedute di allenamento in quell’ambiente imbottito furono provvidenziali perché evidenziarono un insospettato grave difetto della polvere per volare che lui aveva denominato Simil Fata Vola Alto Jones.
La polvere di Otto infatti era “quasi” come quella originale delle fate, ma non completamente uguale. Il problema era che poteva accadere che, da un momento all’altro, senza alcun preavviso, la polvere perdesse potere e il malcapitato precipitasse rovinosamente a terra con le inevitabili conseguenze che potete facilmente immaginare.
Dopo un attento studio, le soluzioni raccomandate da Octopus furono due.
La prima consisteva nell’utilizzare la polvere volando vicino al suolo. Con tale tecnica spiegava il professore, nei viaggi si risparmiava fatica e, in caso di caduta, c’era solo il rischio di ammaccature non gravi, di semplici sbucciature e contusioni.
La pratica mente del conte fece allora subito predisporre un kit di bende, il ”Pronto Uso Vola Sicuro Jones”, che sarebbe stato utilmente sperimentato durante questo primo viaggio, in attesa di una futura commercializzazione.
La seconda soluzione offerta da Octopus era il “volo d’alta quota”. Volando molto alti, diceva il professore, il malcapitato viaggiatore che avesse visto svanire i poteri della polvere che si era cosparso addosso, precipitando avrebbe avuto comunque il tempo di aprire un’altra bomboletta di polvere e rispruzzarsela ancora.
Qui la fantasia del conte diede i suoi migliori risultati ed ideò lo zaino “Overtherainbow”, versione lusso, con paracadute in seta ad apertura automatica in caso di perdita di quota e otto cartucce di polvere “Simil Fata Vola Alto Jones” con apertura a strappo sistemate comodamente sul petto per una migliore e più sicura estrazione. Per i viaggiatori meno abbienti e per quelli che amavano o il rischio o gli sport estremi, il conte fece studiare la speciale e più economica confezione “Zaino Kamikaze Sport Jones” senza paracadute e con due sole cartucce di polvere.
Durante il trasferimento i membri della spedizione poterono fortunatamente contare sulle provviste che si erano portati da casa. Debbo purtroppo dire che molti dei tecnici, una volta consumati i pasti, buttavano giù dal cielo la carta con cui avevano avvolto i panini, i noccioli della frutta e quant’altro, senza curarsi di chi c’era sotto. Questo però, per fortuna, non creò problemi perché avvenne mentre volavano sopra l’oceano. Però poi il conte se ne accorse e li rimproverò moltissimo obbligandoli a non buttare più nulla sulla testa della gente e impose di riportare tutto con sé “per buttarlo, una volta tornati a casa nella discarica. E’ sciocco – concluse – buttare tanta buona roba che può essere più utilmente riciclata con buoni margini di profitto”.
Come sapete “quando Peter non è nell’isola, tutto è quieto e normale: le fate si concedono un’ora in più di sonno, le belve badano ai loro piccoli, i pellerossa mangiano a sazietà per sei giorni e sei notti filati, e quando i pirati e i Bimbi Smarriti si incontrano, si contentano di mordersi i pollici, in atto di reciproca sfida.
E’ solo con l’arrivo di Peter, che detesta l’inerzia, che tutti riprendono la loro frenetica attività”( ).
Il fatto che Peter non fosse nell’isola fece sì che questa avesse l’aspetto di un Paradiso Terrestre e che il conte potesse dedicarsi alle rilevazioni e all’immaginazione di un futuro turistico in assoluta tranquillità.
“Qui faremo il campo di atterraggio della Bryan Air, di lì faremo partire il trenino che porta all’albergo. Le tappe turistiche saranno il villaggio pellerossa, le case negli alberi dei Bimbi Smarriti da cui si prosegue fino alla grotta del Tesoro. Di lì in barca fino alla laguna delle sirene, sosta alla Roccia del Teschio, colazione a bordo della nave dei pirati poi, sulla via del ritorno, nuova sosta al villaggio pellerossa per l’acquisto di prodotti di artigianato locale.
Pare che la figlia del capo, Giglio Tigrato, sia molto carina: la vedrei bene alla reception dell’albergo…”
Il massimo della soddisfazione lord Bryan lo ritrasse dalla visita alla laguna delle sirene: quel giorno (forse proprio per il fatto che Peter non c’era) le sirene lasciarono che Lord Bryan e i suoi arrivassero in volo molto vicino al loro scoglio dove si pettinavano voluttuosamente e poi si tuffarono facendo una quantità di giravolte aggraziate. La sua mente sagace che nulla dimenticava quando si trattava di affari, gli aveva fatto ricordare di porre nello zaino alcuni barattoli di Riciclato Jones, Speciale Pancetta e lì, volando su quelle acque color di smeraldo, aprì una scatoletta e ne fece cadere il contenuto nell’oceano ottenendo così che alcune decine di voracissimi barracuda accorressero di colpo disputandosi ferocemente i prelibati brandelli di cibo piovuto dall’alto.
“Gli piace!” disse compiaciuto il conte.
“Forze perké pesci non afere narici!” sentenziò il professore, ma in quel mentre le acque sotto di loro si agitarono perché un nuovo enorme contendente era venuto a disputarsi il cibo e dagli abissi emerse un immenso coccodrillo dalle fauci spalancate.
“Favoloso!” disse il conte “Una volta o l’altra riuscirò a portare qui i giapponesi, chissà come saranno felici di assistere a questo spettacolo!”
Poi guardò meglio il coccodrillo:”Dovremo prima o poi trovare un “logo” per gli oggetti che venderemo nella boutique dell’albergo, che ne so, magari per le T-shirt. Quel coccodrillo potrebbe essere una buona idea, qualcosa mi dice che un logo così dovrebbe avere successo…”
Dopo i primi giorni passati in rilievi e prospezioni, il gruppo si acquartierò al limite dei Beati Territori di Caccia per valutare i due ultimi aspetti individuati dal conte, la caccia, appunto, e la realizzazione di un campo di golf.
Anche su questi punti il conte aveva le idee chiare e si riservava di parlarne ai suoi collaboratori quella sera, a cena, dopo avere fatto il campo.
Purtroppo per lui Peter Pan scelse proprio quella sera per tornare nell’isola.




mercoledì 23 novembre 2011

Capitolo 9 - Amici, Nemici, Ex Amici, Ex Nemici & Soci



Peter arrivò in vista dell’isola poco prima del tramonto ed al suo occhio d’aquila non sfuggì qualcosa di strano che però nemmeno lui avrebbe saputo ben definire. Dall’alto, in effetti, non vedeva alcun particolare trambusto nell’isola, non c’era agitazione sospetta, notò però che le sirene non erano al loro solito posto sulla Roccia del Teschio, il coccodrillo girava vorticosamente intorno allo scoglio come se si aspettasse di veder cadere Uncino nell’acqua da un momento all’altro e il Grande Capo scrutava il cielo preoccupato mentre i suoi guerrieri battevano lugubri colpi sui loro tam tam intonando la triste nenia dell’Alce Azzoppato.
Peter volò subito alle dimore sotterranee dove trovò i Bimbi Smarriti rincantucciati nei letti come sgomenti per qualche infausto presagio. Anche Pennino e Volpuccio solitamente allegri, erano tristi e i Gemelli non riuscivano a farsi compagnia nemmeno tra loro.
“Che succede ragazzi?” chiese Peter cercando di mettere allegria nella voce.
“Il cielo cade su di noi!” dissero in coro i ragazzi.
“Ma che dite mai!” protestò Peter.
“Scendono dal cielo animali enormi…”disse Orsetto.
“…con strani strumenti per misurare la terra!” aggiunse Trombetta.
Era difficile anche per Peter capire cosa potesse avere così tanto spaventato i ragazzi e decise pertanto di volare al campo indiano.
“Odore di morte nei Grandi Territori di Caccia!” disse il Gran Capo in risposta alle domande di Peter “Grandi guerrieri volanti cerca Peter intorno e non trova…”
Occorreva dunque affrontare il mistero che si annidava nei Grandi Territori di Caccia e Peter, sapendo che questo era compito del capo, non si tirò indietro.
Ormai era scesa la sera ed il buio lo proteggeva per cui volò spavaldamente senza precauzioni verso l’inizio dei Territori e ad una certa distanza vide un grande falò che illuminava alcune tende davanti alle quali si muovevano parecchi uomini.
Non erano né indiani né pirati. Chi mai potevano essere? Decise allora di percorrere a piedi l’ultimo tratto nascosto tra gli arbusti.
Strisciò come un ratto avvicinandosi al fuoco mentre il suono delle voci si faceva più distinto. Una, più forte ed autoritaria delle altre disse:
“Allora, signor Hodmen, a che punto sono i progetti?”
E una monotona voce dal pesante accento strascicato illustrò anche a beneficio di Peter il drammatico scenario turistico che tanto stava a cuore a Lord Rubbish, il tutto condito da preventivi di costi e accessori…
“…Resta soltanto da definire cosa vogliamo fare qui, ai territori di caccia, milord!”, concluse la voce.
“Bene!” riprese la voce autorevole che aveva l’accento tipico di un grande college inglese e che ricordava stranamente quella di Uncino “Per questa zona ho due idee. Qui, dove siamo, faremo prima di tutto un grande campo da golf, completo di club house.
I Ragazzi Perduti saranno degli ottimi caddies e lavoreranno a costo zero, dopo che avremo tolto loro quelle ridicole pelli d’orso di dosso. Se protesteranno per la paga o per la divisa li affiderò a Johnny il Fetido e al suo randello!”
Crasse risate risuonarono intorno al fuoco mentre un brivido scorreva lungo la schiena di Peter e la sua mano stringeva più forte il coltello.
“Qui nella prateria – riprese la voce - organizzeremo partite di caccia per i nostri clienti, ma, e vorrei che prendeste buona nota di questo, dobbiamo organizzarci fin d’ora per fare qui anche la caccia alla volpe. Qualcosa mi dice che prima o poi qualche odioso governo progressista vorrà abolirla in Inghilterra e allora l’aristocrazia britannica se vorrà ancora cacciare la volpe dovrà venire qui da me, da Lord Ffink Pfenninger Jones, nel mio albergo, sui miei cavalli, con i miei cani e dovrà stare dietro ai miei Masters…
E’ sui campi da golf ed ai parties che seguono le partite di caccia alla volpe che in Inghilterra si combinano i migliori affari, e così a combinarli sarò sempre io…”
Appena udì pronunciare il nome Ffink Pfenninger Jones, per Peter fu tutto chiaro! Quello che stava parlando era lo zio di William! Allora era stata tutta una trappola! Un ghigno contorse il tenero viso di Peter scoprendone i denti e si trattenne appena in tempo dal lanciare il suo mitico grido di vittoria. Non era ancora il momento di attaccare o gioire, perché doveva prima conoscere tutti i loro progetti.
Poi un’altra voce dal pesante accento gutturale emerse dal buio:
“Milort, io non sa se Peter Pan sarà felice ti afere tutti kuesti turisti su sua isola…”
Come ahimé sappiamo benissimo, Peter aveva pochissima memoria ma quella voce…quella voce gli ricordava qualcuno…Sembrava quella di uno dei tanti Bimbi Smarriti che aveva accolto nella sua isola, ma tanti anni fa…Uno di quelli che poi aveva preferito crescere…
Peter fremeva: doveva ancora disperatamente ottenere delle informazioni, avrebbe voluto andare a parlare con loro ma non voleva assolutamente essere riconosciuto da Otto.
Ebbe l’idea di travestirsi.
Il campo indiano era per fortuna molto vicino e Peter vi volò direttamente col rischio di essere individuato dagli uomini del conte. Al campo, con l’aiuto di Giglio Tigrato che si divertiva moltissimo, mise pantaloni di cuoio, un collare di perline colorate proprio come un bimbo Piccaninny, piume d’aquila fra i capelli e dipinse il volto con i colori della tribù. Il travestimento fu reso più avventuroso dal fatto che Trilly, che non sopportava Giglio Tigrato e che diventava addirittura furiosa se la vedeva accanto a Peter, cominciò a fare dispetti mischiando i colori, nascondendo i pennelli costringendo così Peter, all’ennesimo scherzo, a imprigionarla sotto il grande tamburo di guerra. Attraverso la pelle tesa del tamburo però si vedevano i furiosi bagliori di luce di Trilly che non poteva più assistere al trucco di Peter. Giglio Tigrato, normalmente molto contenuta e di poche parole, cominciò invece a bella posta a fare risolini, a usare con Peter toni eccessivamente carezzevoli che indussero Trilly ai peggiori sospetti. Finalmente il travestimento fu completato, Trilly liberata e Peter andò all’accampamento del conte ed entrò nel cerchio di luce creato dal fuoco che era stato acceso al centro dello spiazzo camminando lentamente.
“Augh!” - disse alzando una mano in segno di pace – “Odore di cibo attraversa prateria e arriva fino a tende di Piccaninny. Piccola Freccia venuto di molto lontano…”
“Oh, pofero pimpo, tu molto affamato?” chiese gentilmente la voce dallo strano accento gutturale.
“Sì, molto grande uomo che vola! Come tu fa a venire volando?” disse con finta ingenuità Peter.
“Ach! Kon polfere magika!” rispose amabilmente il dottore.
Peter guardò allora Octopus con aria di finta ammirazione e domandò candidamente “Tu fata allora o tu grandissimo uomo di medicina?”
“Oh, nein, io no fata! – rispose Octopus divertito – “Io fa sì polfere per folare, ma io fa kon mia makkina in posto putzolente di Lontra!”
Il cuore di Peter sobbalzò e stava per porre un’altra domanda quando si udì la voce di Lord Bryan venire fuori dall’ombra:
“Senti bambino, ti piacerebbe imparare a giocare a golf?”
“Augh! A Piccola Freccia molto piacerebbe giocare, anche a compagni piacerebbe imparare…”
Peter parlò con tutti, ma tratteneva a stento l’eccitazione per aver capito che la polvere veniva fabbricata, chissà come, vicino Londra, nel luogo dove aveva trovato Wendy, Betty e William, e che, a fabbricarla, era stato proprio Otto, che una volta era stato un Bimbo Smarrito.
Doveva ottenere ancora un’ultima informazione e cercò di carpirla subdolamente proprio a quel maestro di inganni che era Lord Bryan “Siete molto pochissimi voi qui, Grande Uomo Che Vola, ma in isola ci sono pirati e belve e coccodrillo che vogliono mangiare noi bambini…Come voi difendere noi quando noi gioca a vostro gioco di golf?”
E qui il conte, troppo ansioso di tranquillizzare l’innocente bimbetto e i suoi amici per far fare loro da caddies senza salario al suo club, svelò a Peter che presto sarebbe ritornato nell’isola con un foltissimo gruppo di operai e soldati con armi per fare grandi case di pietra e difendere lui e i suoi amichetti da qualunque attacco.
E il conte concluse con la sua solita aria di superiorità: “E se i pirati vorranno combattere, sfrutteremo la nostra superiorità aerea. Da ora in poi le guerre le vincerà chi avrà la superiorità nei cieli!”
“Oh Grande Capo Bianco!” disse Peter facendo la faccina più ammirata che poté “Molto bello avere uomini volanti nell’isola a noi proteggere!
Noi piccoli Piccaninny assieme a Bimbi Smarriti fare per Grandi Uomini Che Vola qualunque cosa! Domani noi venire a vostro campo per avere istruzioni. Così mentre voi stare lontani da isola noi fare vostri scout e prendere informazioni su pirati, su belve e su tutto per voi!”
“Hai stoffa, ragazzo!” disse magnanimo il conte “Come hai detto che ti chiami?”
“Piccola Freccia è mio nome. Quello che tu detto ora, Grande Uomo Che Vola, stare per sempre in mio cuore e anche Piccola Freccia vuole entrare forte e stare sempre in tuo cuore!” disse con un ambiguo sorriso Peter Pan accomiatandosi ed allontanandosi a piedi nel buio.
Appena fu lontano si alzò in volo e si diresse alla Laguna delle Sirene verso la quale, al suo arrivo nell’isola, aveva visto veleggiare il galeone corsaro.
Scese in picchiata sulla nave dove i pirati dormivano e che sembrava totalmente deserta e percosse violentemente la campana di bordo svegliando tutti, poi si piazzò sulla coffa.
“Uncino! Svegliati Uncino! Debbo parlarti!” gridò dall’alto mentre dai boccaporti cominciava a uscire vociando la ciurma.
“Capitano! Capitano! C’è Peter!” urlò Spugna scorgendolo e prendendolo subito di mira con la pistola.
“Spugna! Questa volta non sono qui per combattere, ma sono venuto a parlare! Svegliatemi Uncino…”
In quel momento il boccaporto centrale del Jolly Roger si aprì e ne uscì Uncino che si stava ancora infilando la giacca.
Il feroce pirata odiava essere svegliato e trovava per di più molto indecoroso salire sul ponte tra i suoi uomini mostrando loro un aspetto trasandato. Cercò di darsi un tono mettendo a posto con noncuranza i merletti che gli uscivano dalla manica della giacca dalla parte dell’uncino, e chiese con aria indifferente:
“Bene, Peter, questa notte mi sento generoso. Parla, ti ascolto. Ma ti do solo cinque minuti per parlare, poi ordino il “Fuoco” alla ciurma. Tenetevi pronti, ragazzi!”
“Sono venuto da solo Uncino, - disse Peter - e sono venuto in pace a chiedere il tuo aiuto. Un grave pericolo minaccia l’isola e te e i tuoi pirati. Ma non posso certo parlarti da quassù! Se vuoi ascoltarmi, fai mettere giù le armi alla ciurma, poi ci mettiamo intorno ad un tavolo e ti racconto tutto!”
Uncino ci pensò un momento poi rispose:
“Io di te non mi fido Peter! Tu invece, se vorrai parlarmi, dovrai fidarti di me! Se il pericolo è reale ti prometto che non spareremo, te ne do la mia parola. Ma tu dovrai scendere fra noi!”
Peter non avrebbe mai dovuto fidarsi di Uncino, direte voi, e infatti, appena mise piede sulla tolda del Jolly Roger, Uncino gridò “Prendetelo!”, e tutti i pirati si gettarono su di lui.
Ma Peter non era certo impreparato e con un balzo laterale schivò abilmente la rete lanciata da Spugna per immobilizzarlo e schizzò verso l’alto fra una gragnola di proiettili.
“Verme schifoso!” urlò a sua volta ad Uncino “Non varrebbe proprio la pena di salvare la vita a te e ai tuoi ribaldi! Vuoi combattere? E combatti allora! Però, se non sei un vigliacco, fai scendere la tua ciurma sotto coperta e facciamo parlare le spade! Se vinco io loro dovranno ubbidirmi e anche tu dovrai obbedirmi, ammesso che tu sopravviva al duello!”
Uncino non poteva certo dar prova di vigliaccheria davanti ai suoi uomini e così dovette per forza accettare la sfida.
A lungo combatterono e la furia di Uncino costrinse Peter a una difesa che Peter sembrava subire sempre più debolmente, arretrando, sfuggendo agli a fondo, parando i colpi di Uncino in affanno tra le grida entusiastiche dei pirati che seguivano la contesa dalle feritoie dei boccaporti. Poi Uncino cominciò ad apparire affaticato e a quel punto Peter cominciò a deriderlo e a provocarlo, riaccendendone l’ira e provocando nuovi assalti che stremarono il pirata. Solo quando lo vide completamente senza fiato Peter, che era invece freschissimo, cominciò ad incalzarlo a sua volta spingendolo verso la murata esterna.
Uncino era ormai divenuto rosso come un peperone e non ce la faceva più nemmeno a tenere sollevata la lama e allora, quando fu del tutto incapace di difendersi, Peter gli puntò la spada alla gola, mente dal mare, sotto la murata, saliva un ticchettio che fece divenire cadaverico il volto di Uncino fino ad un momento prima paonazzo per la fatica:
“Ti offro una scelta, Uncino: lama, coccodrillo, o trattativa, dimmi, che preferisci?”
Quale pensate fu la scelta di Uncino?
“Trattativa, Peter, trattativa!” gemette il pirata cercando di scrutare con la coda dell’occhio le nere acque dell’oceano.
Costretto con la forza ad ascoltare Peter, Uncino fu invece presto sopraffatto dalla rabbia venendo a sapere dei piani di invasione del conte.
I suoi occhi divennero fiammeggianti, dal suo bocchino a due fuochi si sprigionarono nuvole di fumo e scintille, e cominciò a misurare con grandi passi la tolda della nave tra i brusii preoccupati dei pirati ancora chiusi nelle stive che seguivano di lontano la scena senza poter capire nemmeno una parola.
“Come?! Quel marrano vuol portare i turisti a pranzo sul mio galeone? Pensa forse che Uncino glielo consentirà? Uomini, udite!” - disse rivolto alla ciurma, e narrò loro, che lo ascoltavano attraverso i boccaporti, chiusi com’erano nelle stive, i progetti del conte e concluse - “Voi volete che quel ribaldo vi trasformi in aggraziate servette per cucinare il pranzo ai suoi turisti, proprio qui su questa nave che ha visto le vostre leggendarie imprese, o vorrete piuttosto combattere per la vostra libertà, per la vostra nave, per la vostra isola, per il vostro capitano?”
“Combattere! Combattere!” – urlarono i pirati - “Combattere fino alla morte!” questa fu l’impavida risposta di quella feccia dei mari.
“Hai sentito, Peter?” disse soddisfatto Uncino “Puoi contare su di loro. Per una volta tu ed io combatteremo insieme! Li uccideremo tutti! Taglieremo loro la gola uno ad uno, impediremo loro di tornare a Londra, e nessuno ne sentirà mai più parlare. L’Isolachenoncè sarà per loro l’Isoladelnonritorno!
Quanti sono e chi li comanda?” chiese alla fine.
“Non sono molti, ma sono bene armati, possono volare e li comanda uno che parla come te Uncino, uno che si chiama Ffink Pfenniger Jones!”
Per sua fortuna il viso di Uncino in quel momento non era illuminato e nessuno poté vedere l’espressione che gli attraversò il volto. Perché Uncino trasalì?
Il pirata rimase qualche istante in silenzio nell’ombra quasi avesse timore che mostrando il suo viso o parlando potesse in qualche modo tradirsi. Quando riacquistò il controllo delle proprie emozioni venne verso la luce e fece una strana domanda. Devo dirvi però, ad onor del vero, che Peter non percepì nulla di sospetto nelle sue parole apparentemente innocenti:
“Ffink Pfenninger Jones, come?” fu la domanda di Uncino.
“Parli proprio come lui!” rise Peter che era abilissimo nell’imitare gli accenti, e scimmiottando la pronuncia del conte sillabò “Ma Lord “Bryan” Ffink Pfenninger Jones, mi chiamo, cribbio!” –poi riacquistò la sua voce e aggiunse – “Io invece gli ho detto che il mio nome è Piccola Freccia una freccia che trapasserà domani il suo cuore! Lo ucciderò con le mie mani!”
“Peter se vuoi la mia alleanza devi lasciare a me il suo destino.” – disse Uncino guardandosi con fare noncurante le unghie – “Voglio essere io a decidere della sua vita. Se vuoi avermi alleato me lo devi promettere. E’ una condizione!”
“Va bene, concesso!” fece Peter magnanimemente “Vorrà dire che allora io mi riservo la vita di uno della sua banda, un infame traditore che una volta era stato qui con me nell’isola. Dobbiamo fare un piano per distruggerli. Dovremo avere con noi anche i pellerossa che sono minacciati quanto noi da questo verme di un Ffink Pfenninger Jones! Comunque il piano facciamolo tu ed io anche per loro. Mi chiamano il loro Grande Padre Bianco, non faranno alcuna difficoltà e mi ubbidiranno ciecamente!”
Peter aveva le idee molto chiare: gli uomini di Lord Bryan erano pericolosi perché volavano ed erano molto ben armati. Occorreva pertanto prenderli di sorpresa, mentre erano a terra e lontani dalle armi.
La sera successiva – disse - sarebbe andato al campo degli invasori con tutti i Bimbi Smarriti alcuni dei quali, come lui, sarebbero stati travestiti da Piccaninny. Era atteso al campo con altri bambini e lui e i suoi compagni avrebbero avuto, almeno agli occhi dei nemici, un aspetto mite ed indifeso. Si sarebbero messi a raccontare storie dell’isola per distrarli e avrebbero fatto rumore per coprire l’avanzare di Uncino e dei pellerossa. Quando gli avversari meno se lo fossero aspettati, ad un segnale di Peter, sarebbe stato sferrato l’attacco.
Parlarono a lungo. Ma cos’era quella strana luce che Uncino aveva negli occhi quando Peter lasciò la nave? L’infido pirata preparava già il tradimento? Quale oscuro legame univa il leggendario capitano del Jolly Roger a Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones? Riuscirà Peter a salvare l’isola dall’assalto dell’infame Lord Rubbish?



martedì 22 novembre 2011

Capitolo 10 - Vittoria, perdono e tradimento



Peter volò al campo pellerossa, spiegò il suo piano al Gran Capo e debbo dire che, con molto poca delicatezza, raccontò nei dettagli non solo i progetti del conte, ma anche il ruolo di hostess che in futuro Lord Bryan avrebbe voluto assegnare a Giglio Tigrato in albergo.
I fieri occhi della bella principessa avvamparono a sentire quella storia. Debbo purtroppo dire che Peter nel raccontarla ne rise moltissimo e così il furore di Giglio Tigrato per quell’ulteriore umiliazione non riusciva proprio a placarsi tanto che chiese ed ottenne di partecipare all’attacco della sera dopo per strappare personalmente al conte lo scalpo.
Con molta leggerezza Peter purtroppo acconsentì alla sua richiesta, non accorgendosi che così stava tradendo l’impegno già assunto con Uncino.
La sera successiva Peter con i Bimbi Smarriti si presentò al campo di Lord Bryan dove fu accolto con mielosa cortesia dall’infido conte che adesso, oltre a vederli con la fantasia già lavorare gratuitamente carichi di sacche piene di palle e di mazze da golf, si apprestava ad ingaggiarli (sempre senza compenso), anche come scout.
Peter nell’avvicinarsi al campo rilevò quante sentinelle ci fossero e contò solo sei uomini. Ma né Lord Bryan né i suoi nutrivano, a dire il vero, proprio alcun sospetto: nei giorni precedenti infatti tutto era stato sempre calmo e tranquillo e nessuno li aveva mai infastiditi e così le sentinelle, adesso, sembravano tutte molto distratte.
Peter presentò i compagni, chiese del cibo proprio come aveva fatto la sera prima poi, quando vide tutti rilassati, propose di giocare insieme a pallone. Prima di ogni partita, disse Peter, i Bimbi Smarriti usavano abbracciarsi per gridare il loro inno e così, tutti abbracciati, gridarono forte, per sei volte “CHICCHIRICHI’” per segnalare ad Uncino e a Gran Capo che di guardia c’erano solo sei sentinelle.
Mentre tutti erano distratti dal gioco, pirati ed indiani strisciarono silenziosamente tra i cespugli e neutralizzarono con facilità le sentinelle. Ogni volta che ne uccidevano una, lanciavano a Peter il segnale convenuto facendo l’Ululato del Coyote Con La Spina Nella Zampa.
Quando Peter sentì risuonare per la sesta volta il lugubre ululato, sospese il gioco chiedendo il time-out e durante la sosta ognuno dei Bimbi Smarriti si avvicinò, come casualmente, ad uno degli invasori. Peter, ovviamente si pose accanto a Lord Bryan ed al momento giusto estrasse il pugnale e lo puntò alla gola del conte mentre gli altri facevano lo stesso, e gridò “CHICCHIRICHI’!” e al suo grido dall’ombra emerse un numero enorme di pirati e pellerossa che con la loro superiorità numerica schiacciante convinsero gli invasori a non tentare nemmeno il più piccolo gesto di ribellione.
Ma a turbare quella straordinaria vittoria che il piano di Peter aveva reso anche troppo facile, giunse come una furia Giglio Tigrato per compiere la sua vendetta.
Ma Uncino si pose tra lei e Lord Bryan sbarrandole il passo e afferrandole il polso:
“Fermati squaw!” – sibilò minacciosamente Uncino – “Quell’uomo è mio! Diglielo Peter!”
Fermare Giglio Tigrato non è impresa da poco e anche Peter Pan dovette chiedere l’intervento di Gran Capo per fermarla. Nessuno dei due contendenti voleva rinunciare al privilegio di decidere la sorte di Lord Bryan e così Peter decise che si sarebbero riuniti tutti l’indomani mattina per discutere tutti insieme della sorte dei prigionieri.
Un attento osservatore che fosse stato presente a quella drammatica scena avrebbe però potuto notare che Uncino aveva sempre evitato di mostrare il suo volto a Lord Bryan, e noi dobbiamo continuare a porci la domanda: perché si comportava così?
Peter, nel frattempo, non essendosi accorto dell’atteggiamento di Uncino, temeva che il conte e i suoi uomini, ancora coperti di polvere Simil Fata Jones, potessero fuggir via volando e quindi, per prima cosa, li fece legare come salami, poi divise le loro armi ed i loro beni tra pellerossa e pirati, e solo dopo ci si apprestò a festeggiare.
Uncino si avvicinò a Peter con il passo dinoccolato che aveva appreso nei suoi anni giovanili nella prestigiosa scuola che aveva frequentato prima di dedicarsi alla pirateria. Stringeva mollemente in mano un fazzoletto orlato di trine che agitava leziosamente davanti al volto come se fosse stato raffreddato (o lo faceva – direste voi - per non farsi riconoscere dal conte?), e parlò con aria annoiata:
“Peter, non vorrai certo festeggiare qui, bivaccando nella prateria! Nemmeno i pellerossa lo fanno! Legati come sono, questi topi di fogna non possono certo fuggire: lasciamoli qui e andiamocene a festeggiare la vittoria al villaggio dei Piccaninny e poi domani, dopo la riunione con il Gran Capo, taglieremo loro con calma la gola!”
Stavano per fare quello che Uncino aveva richiesto, che Octopus, che aveva ascoltato tutto, cominciò a gridare:
“ Peter, ti preko, in nome ti antika amicizia! Tu no lascia me qui! Io fatto kuesto zolo per tornare a Izola!”
Per capire il senso di quelle che furono poi le decisioni di Peter bisogna capire quali erano stati, a suo tempo, i rapporti tra i due.
Come tutti sanno Peter è stato allevato dalle fate e dagli uccelli, non ha mai avuto una mamma che lo portasse a scuola e quindi non ha mai imparato a leggere e scrivere. Anzi, il fatto di non essere mai stato a scuola costituisce per lui uno dei suoi massimi punti di orgoglio.
“Sanno leggere le fate? Sanno scrivere gli uccelli?” dice sollevando il nasino con aria stizzita quando qualcuno cerca di entrare in argomento “Fanno di conto le sirene?”
Il non andare a scuola è anzi uno dei punti fermi nel “credo” di Peter che vede nella scuola il primo e più terribile gradino della crescita: “Se i bambini quando crescono vanno a scuola vorrà dire che io non andrò mai a scuola, e quindi non crescerò mai!” era questo il terribile sillogismo (parola questa che adesso a scuola nemmeno insegnano più) con cui Peter rispondeva a chi gli parlava dei benefici dell’istruzione.
Peter però, proprio come gli uccelli che lo hanno allevato, è sempre stato dotato di una grandissima curiosità. E’ capace di stare per ore e ore a guardare un volatile di una razza a lui sconosciuta fare il suo nido, ed una volta, parlando ai Bimbi Smarriti, ha detto che lui conosce ben 4.256 modi diversi di fare un nido! C’è da domandarsi come sia arrivato a quel totale, visto che dichiara di non saper fare le addizioni, ma certo di modi per fare il nido deve conoscerne molti.
Peter passa anche ore a guardare le interminabili code di formiche che entrano ed escono da un formicaio e qualche volta il suo spirito di ricerca gli fa mettere dei sassi o dei fuscelli sui loro percorsi per vedere come reagiscono. Gli sforzi delle povere formiche, debbo ammettere, lo divertono molto poi, certo, non sapendo scrivere, non può fare un resoconto delle conclusioni scientifiche che ne ha tratto e quindi, non potendo fare alcun resoconto, quando comincia ad annoiarsi va a fare un’altra cosa.
Bene, direte voi, ma questo che c’entra con Otto?
C’entra nel senso che quando il piccolo Otto era uno dei bimbi smarriti nell’isola, lui e Peter erano sicuramente i due più curiosi del gruppo. La mamma di Otto, quando lui era piccolissimo, prima che fuggisse di casa, gli aveva insegnato un poco a scrivere e il piccolo Otto che faceva a gara con Peter nell’osservare il mondo, ad un certo punto aveva cominciato a scrivere i risultati delle sue osservazioni sulle pareti della casa sotterranea, sulle cortecce degli alberi, sulla sabbia del mare ed era molto dispiaciuto quando il vento o il mare cancellavano le sue osservazioni.
Peter invece era abituato a dimenticare, anzi, dimenticare era per lui un elemento di felicità ”Scoprire la bellezza di una cosa è una grande gioia” – diceva – “se io la dimentico, ebbene, ogni volta che la riscopro riprovo la stessa grande gioia della prima volta. Quindi dimentico le cose belle per essere più felice.
Il ricordo delle cose brutte, invece” – proseguiva – “rende infelici anche quando la cosa brutta è passata, quindi…dimentico anche quelle per non essere infelice!” concludeva.
Con due personaggi così curiosi, ma anche così diversi, potete immaginare i litigi che ci furono all’epoca tra Peter e il piccolo Otto la cui precoce mente scientifica era sempre portata a scrivere, classificare, confrontare…
Otto infatti, che annotava tutto, ogni tanto rimproverava Peter per certe sue affermazioni “Non è fero ke hai sconfitto ta zolo 50 pirati! Erano zolo 4 e ti aiutavo io, lo rikorto penitzimo perké l’ho scritto zu questa corteccia ti alpero…”
La cosa faceva sempre infuriare Peter:
“Da uno come te” - diceva Peter furibondo – “ci si può aspettare di tutto…Otto, stai attento! Se non cambi un giorno o l’altro finirai a scuola…”
Ma Otto continuava imperterrito a scrivere, annotare, classificare.
“Vedrai dove ti porterà la tua mania di scrivere e studiare!” gli diceva saggiamente Peter, e fu così che Peter temendo che le brutte attitudini di Otto fossero di cattivo esempio per gli altri Bimbi Smarriti non si lamentò affatto quando, con la ridicola scusa che aveva bisogno di un quaderno e una matita, Otto un giorno uscì dalla casa nell’albero e se ne andò.
“Imparerà a sue spese com’è fatto il mondo degli adulti!” aveva detto Peter agli altri alzando gli occhi al cielo.
Ed ora i casi della vita avevano voluto che proprio Otto gli capitasse davanti, colpevole, sconfitto, legato, esempio vivente (ancora per poco) di quanto Peter avesse avuto ragione.
Certo uno come Peter non poteva resistere alla terribile e tanto umana tentazione del “Te l’avevo detto, io!?”
Così, pur sapendo che non è affatto bello infierire sul nemico sconfitto, andò di fronte ad Octopus che continuava a piangere e a chiedere clemenza, e a gambe larghe e con le mani sui fianchi, gli sparò in viso il più terribile insulto di cui fosse capace:
“ Chiedi pietà? E invece meriteresti di essere lasciato proprio qui, SAPIENTONE! Quante volte ti ho detto che saresti finito male! Vedi come si rovina la gente a voler andare a scuola e a studiare?”
Dopo questa sfuriata tutti stavano guardando Peter che non poteva evitare di pronunciare pubblicamente la sua sentenza.
A questo punto però dobbiamo ricordare a tutti che Peter era nato in Inghilterra e che in lui il senso della giustizia non travalicava mai nello spirito di vendetta.
Le lacrime di Otto ne dimostravano l’avvenuto pentimento ed in fondo era questo che ogni buon giudice deve volere. Peter diceva sempre però che la giustizia oltre che redimere deve anche costituire un esempio per evitare che altri commettano gli stessi errori. Lì, davanti a tutti i Bimbi Smarriti, davanti ai pirati e ai Piccaninny schierati, Peter doveva quindi necessariamente pronunciare una sentenza esemplare salvando però la vita al povero Otto.
“Toglietegli di dosso la polvere per volare perché non possa fuggire,” – disse Peter dopo un attimo di riflessione – “poi scioglietegli i legami e scaraventatelo nell’Abisso degli Orrori! Ci resterai” – disse poi rivolto a Otto – “finché non avrai dimostrato il tuo effettivo pentimento!”
“No! L’Abisso no!”, “No, Peter, sii clemente, non nell’Abisso…”, “No, Peter, è troppo!”, così dissero in coro i Bimbi Smarriti ascoltando pronunciare quella sentenza con i volti stravolti dalla paura.
Nessuno di loro era mai stato nell’Abisso, ma ne conoscevano bene l’esistenza e l’ubicazione.
Ogni volta infatti che qualcuno di loro trasgrediva alle ferree regole di Peter questi guardava il colpevole negli occhi e diceva ”Attento! Se fai ancora così, ti mando nell’Abisso…”, oppure volando verso la Laguna delle Sirene, quando sorvolavano la parete scoscesa ed impervia che fronteggiava la Roccia del Teschio, additava l’ingresso di una grotta a mezza costa e diceva “Ragazzi, quello è l’Abisso. Attenti a quello che fate, sennò…”
Octopus però, pur essendo stato a lungo nell’isola, non aveva mai sentito parlare dell’Abisso. La soddisfazione comunque di sapere di aver avuto salva la vita gli faceva superare facilmente la paura dell’ignoto.
“Krazie Beter, non ti bentirai ti tua klemenza, krazie!” disse Otto mente due Bimbi Smarriti lo portavano subito in volo verso l’Abisso.
Risolto anche questo problema finalmente si poteva tutti andare al campo Piccaninny a festeggiare.
I festeggiamenti furono grandiosi: le squaw del campo avevano preparato tanti diversi succulenti arrosti serviti su foglie di mais, pannocchie arrostite, patate cotte sotto la cenere, tortillas condite con salse piccanti, patatine fritte, dolci al miele, banane arrostite con succo di lamponi e tanta tanta frutta che, chissà perché, i Bimbi Smarriti guardavano e facevano “Puah!”
Al pranzo non partecipava Giglio Tigrato, ancora infuriata per non aver potuto lavare nel sangue le offese ricevute da Lord Bryan, e molto presto anche Uncino, che non amava mai mischiarsi ai suoi uomini al momento dei festeggiamenti per il modo molto poco signorile con cui gozzovigliavano, si allontanò in silenzio, senza salutare nessuno.
Nella prateria intanto, Lord Bryan e i suoi uomini attendevano atterriti l’arrivo dell’alba dell’ultimo giorno della loro vita e si domandavano se mai l’avrebbero vista perché dal buio che li circondava giungevano agghiaccianti fruscii e alla luce incerta delle stelle potevano vedere le sagome minacciose dei predatori che si aggiravano famelici nella notte.
Quando era quasi l’alba, un’ombra più silenziosa e guardinga delle altre si avvicinò strisciando ai prigionieri e giunta nei loro pressi una figura umana si alzò repentina ed una mano afferrò i capelli di Lord Bryan che lanciò nel bavaglio un grido strozzato.
“Tu adesso vedere come Giglio Tigrato tratta turisti!” sibilò all’orecchio del conte una gelida voce femminile mentre l’altro braccio si alzava stringendo un pugnale “Tu adesso paga a tua hostess conto di albergo con scalpo!”.
“Pack!” fece il calcio di una pistola materializzatasi improvvisamente dal nulla, colpendola alla nuca e facendola afflosciare svenuta per terra.
Chi era il nuovo arrivato?
Una nuova ombra, avvolta in un nero mantello, torreggiava infatti sui prigionieri.
“Bryan!” – disse una voce il cui accento risultava familiare all’orecchio del conte – “Adesso taglierò i tuoi legami e quelli dei tuoi uomini, ma devi giurarmi sul tuo onore di Scarafaggio, che non tornerai mai più nell’isola!”
Chiedere a Lord Bryan di giurare sul suo onore era, come nella City tutti sapevano, come invitarlo espressamente a mentire, perché certo nessuno può chiedere mai ad un uomo d’affari di successo di dire la verità, come avevano imparato da tempo gli agenti del Fisco di Sua Maestà.
Ma sorprendentemente l’ombra aveva chiesto al conte di giurare “sul suo onore di Scarafaggio”: chi era dunque l’uomo misterioso che lo sovrastava nella notte? Come poteva quell’ombra sapere che il conte, a Oxford, aveva fatto parte dell’esclusivo e segretissimo club degli Scarafaggi, i cui impegni erano sigillati da un patto di sangue?
“Giura!” – incalzò l’ombra – “Dì: Giuro sul mio onore di Scarafaggio che non tornerò mai più nell’isola, né mai permetterò a nessuno di tornarci e che mai comunicherò ad alcuno la direzione da prendere per trovarla! Dì: Io, Bryan Ffink Pfenninger Jones, Scarafaggio di Prima Categoria, Membro della Segreta Confraternita Degli Scarafaggi, sul mio onore scarafaggesco LO GIURO! ”
Era proprio la formula dell’inviolabile giuramento rituale del club quella che l’ignoto gli stava recitando nella notte in un’isola il cui cielo ricolmo di stelle era così diverso da quello di Oxford, mentre intorno ululavano i coyotes.
E su quella formula il conte solennemente giurò, terrorizzato che Giglio Tigrato risvegliandosi lo trovasse ancora legato.
“Andate via, adesso! Avete ancora sufficiente polvere per volare?” chiese l’ignota figura.
“Noi tutti indossiamo eccellenti zaini “Overtherainbow Jones”, modello lusso, con otto comodi contenitori di riserva di speciale polvere Simil Fata Jones per volare sicuri!” rispose orgoglioso il conte “Ma io, piuttosto, chi debbo ringraziare?”
“Un amico” rispose la figura ritirandosi nell’ombra “Un amico…”



lunedì 21 novembre 2011

Capitolo 11 - La fine di Octopus



Ormai incalzati dai fatti e dalle sorprese che si succedono sotto i nostri occhi, sorvoleremo sulle poco edificanti scene che avvennero la mattina dopo ai Grandi Territori di Caccia quando Peter con i bimbi Smarriti, assieme ad Uncino con i suoi pirati e a Gran Capo con i suoi Piccaninny, andarono alla radura dove, invece dei prigionieri, trovarono Giglio Tigrato svenuta a terra con un enorme e poco principesco bitorzolo sulla testa.
Uncino e la principessa si scagliarono entrambi violentemente su Peter che aveva promesso a tutti e due la vita del Conte e lo rimproverarono di aver mancato gravemente agli impegni, Peter rispondeva dicendo che si era solo limitato a rinviare l’esecuzione d’accordo con Gran Capo, per non scontentare nessuno, Giglio Tigrato se la prendeva con Uncino perché aveva suggerito di allontanarsi lasciando il Conte incustodito, Uncino rispondeva obiettando che i Beati Territori erano terra dei Piccaninny, e competeva a loro montare la guardia ai prigionieri…
Nelle discussioni furibonde, in cui ognuno dei contendenti sente la necessità di mettere sul tappeto anche questioni vecchie che non hanno alcun riferimento con l’argomento trattato, Giglio Tigrato, con l’assenso di Gran Capo, sollevò il problema del nome della tribù. I Bimbi Smarriti e i pirati, chiamandoli Piccaninny, disse Giglio Tigrato, avevano sempre storpiato il loro nome: “Voi, Bimbi e pirati cercate sempre una mamma, ma noi pellerossa in Isola abbiamo già nostre mamme: se voi cerca mamma, noi cerca tata! Noi sempre invoca grande Manitù di trovare tata, e se noi trova, noi prende! Nostro vero nome voi sempre male capito è: “Pick-a-nanny” no Piccaninny…”
Ci furono, insomma, le solite discussioni che ci sono sempre tra alleati dopo che si è vinta una guerra o, in altre parole, c’era il solito clima di tensione che si realizza nell’isola ogni volta che c’è Peter.
A un certo punto Peter, spazientito, decise di andare con Campanellino a dare un’occhiata a Otto all’Abisso degli Orrori.
Dovete sapere che fino alla partenza del piccolo Otto dall’isola tanti anni prima, l’Abisso degli Orrori era conosciuto con il nome di Beata Grotta della Tranquillità.
Era una larga grotta, asciutta e molto luminosa perché dall’ampia apertura che si affacciava a mezzogiorno sulla Laguna delle Sirene entravano copiosi i caldi raggi del sole e, in certe ore, anche i romantici riflessi smeraldini delle onde del mare. Era, in altre parole, un posto meraviglioso e incantato.
Le pareti della grotta erano lisce e levigate e in quel luogo il piccolo Otto aveva preso l’abitudine di andare volando a meditare. Come avrebbe potuto il piccolo Otto resistere alla tentazione di scrivere su quelle lisce pareti? Lì non c’era pioggia, non c’era vento, non c’erano onde che potessero cancellare la sua scrittura e così, in poco tempo tutte le pareti, il soffitto, il pavimento furono piene di appunti, di disegni, di osservazioni. Per amore della verità dobbiamo dire che Otto, senza rendersi conto di ciò che faceva, era addirittura riuscito a ricostruire da solo il teorema di Pitagora di cui mai nessuno gli aveva parlato. Sulle pareti di quella che una volta era stata la Beata Grotta Della Tranquillità, ora giganteggiavano triangoli, quadrati costruiti su ipotenuse, che solo a guardarli avrebbero fatto venire a Peter voglia di scappare.
Peter, infatti, dopo la partenza di Otto, aveva per caso visitato la grotta e ne era rimasto comprensibilmente sconvolto. Gli sembrava un luogo da incubo e così l’aveva ribattezzato con un nome che gli sembrava più rispondente e così quella che un tempo era stata la Beata Grotta della Tranquillità era divenuta per tutti l’Abisso degli Orrori.
Ritornato dopo tanto tempo nella grotta, Peter trattenne a stento un brivido di disgusto davanti a tutte quelle scritte! Si vedeva chiaramente che Otto non era mai stato una persona normale per perdere tanto tempo e scervellarsi tanto! Non sarebbe stato meglio per lui se, quando era piccolo, avesse cantato, suonato il flauto o giocato con le fate?
Fatto sta che Peter molto sbrigativamente e molto sussiegoso, si informò sul sintetizzatore nella discarica di Londra, rimanendo molto soddisfatto nell’apprendere che era solo un prototipo e che i piani di costruzione erano custoditi alla discarica in una speciale cassaforte di cui solo il conte aveva la chiave.
Chiaramente occorreva andare subito a Londra e distruggere macchina e progetto per impedire che il conte, o chi per lui, tornasse nell’isola.
Parlando con Otto Peter capì subito che non poteva consentire che il dottore lasciasse mai più l’isola essendo troppo grande il rischio che ricostruisse da qualche parte un altro sintetizzatore e l’isola venisse invasa di nuovo.
Ma che fare di lui?
Otto non era più un Bimbo Smarrito, non era nemmeno un pirata e non era certo un Pick-a-nanny…Come sistemarlo?
In quel momento Peter forse non rimpianse di non averlo ucciso ma, certo, si rendeva conto che Otto costituiva un problema…
“Otto” disse alla fine severamente Peter prima di volare di nuovo da Uncino per metterlo al corrente del piano che stava elaborando “Mi dispiace moltissimo, ma temo che dovrai restare recluso in questa grotta per molto, moltissimo tempo…”
Poiché nel prosieguo della nostra storia non incontreremo mai più il Professore, non vorrei che rimaneste con la curiosità di sapere quale fu la sua sorte. Seguiremo dunque la storia della tragica scomparsa di Octopus, trascurando per un po’ il resoconto della lotta tra Peter e Lord Rubbish.
Ebbene, quando Otto si sentì dire che sarebbe dovuto rimanere nella caverna, non credé alle sue orecchie, perché non avrebbe mai sperato di trovare una sistemazione migliore di quella che Peter gli offriva. Quel luogo per lui era il più bello del mondo, lì si rilassava e trovava una concentrazione ineguagliabile. A differenza di Peter lui non aveva bisogno di un pubblico che lo applaudisse o dei discepoli che lo seguissero: quando la sua mente scientifica affrontava un problema teorico importante, lo faceva con lo stesso spirito della vostra mamma quando cerca gli occhiali e quando lo risolveva, era semplicemente come quando la mamma trova gli occhiali, cosa di cui non c’è proprio di che gloriarsi perché è solo un problema di meno.
Ora, come ricorderete, Otto era prigioniero sia dei Bimbi Smarriti, sia dei pirati sia dei Pick-a-nanny e così fu deciso che ogni gruppo, una volta alla settimana, gli avrebbe portato cibi, bevande e legna per cucinare, e il tutto gli sarebbe stato calato dall’alto con una carrucola.Quella storia andava avanti così da qualche settimana, quando le mamme Pick-a-nanny cominciarono a capire che alla grotta c’era qualcosa che non andava.
All’inizio infatti le mamme pellerossa avevano dovuto insistere molto perché i piccoli Pick-a-nanny andassero da Otto, perché i loro bimbi, come tutti i bimbi del mondo, trovavano sempre una scusa per cercare di evitare i lavori domestici “Ma perché mandi sempre me?” “Non è vero l’altra volta è andato Talpa Sonnolenta!”, “Ma il viaggio è lungo, i pacchi sono pesanti e la strada è in salita!” “Allora andateci in tre, uno porta l’acqua, l’altro il cibo, il terzo la legna, e vi fate pure compagnia…”
Improvvisamente le mamme Pick-a-nanny notarono una solerzia sospetta “Posso andare io mamma alla grotta di Otto?” “Mamma, tocca ai Pick-a-nanny andare da Otto questa settimana?” “Ma se ci siete stati solo l’altro ieri!” “Uffa!”
Cos’era successo?
Era successo che il buon Otto, che riceveva da ognuno dei suoi tre carcerieri le diverse provviste, essendo un chimico supremo, non avendo niente da fare, dopo anni passati nel tanfo della discarica con la molletta sul naso, ormai disabituato ad odori e sapori, si era costruito una cucina ed un forno e aveva cominciato a cucinare pietanze sopraffine i cui odori avevano fatto impazzire i suoi piccoli visitatori. Quel giorno Otto aveva appena sfornato il pane, una stupenda torta di mele e il più meraviglioso strudel che si possa immaginare, cucinato secondo la ricetta originale della mamma di Otto ricetta che Otto, ovviamente, ricordava benissimo.
Dopo la lunga camminata i piccoli Pick-a-nanny, sentiti quegli odori, quasi svennero dalla fame ed uno dei tre, contravvenendo alle regole, si fece calare alla grotta per vedere che succedeva e risalendo con la bocca piena di strudel raccontò agli amici storie mirabolanti.
Otto che quando era piccolo aveva studiato la natura dell’isola palmo a palmo e si era annotato tutti i particolari sulle pareti della grotta, li mandò a raccogliere funghi, bacche, rosmarino, salvia, timo, maggiorana e tutte le spezie che gli venivano in mente e così la sua cucina si arricchì enormemente.
Le mamme Pick-a-nanny, molto sospettose, decisero di seguire di soppiatto i figli proprio il giorno che Otto stava cucinando cotolette d’agnello “alla Parmantier” con contorno di “pommes dauphines” e, sapendo quanto ai bambini piacessero i dolci, Otto aveva preparato tutta una serie di torte straordinarie di sua invenzione tra cui un trionfo di frutti di bosco affogato nella panna montata.
Otto, ovviamente, invitò a pranzo anche le mamme e, come è facile immaginare, non si trattava certamente di piatti usuali per le mamme Pick-a-nanny e così anche esse, sparsa la notizia, cominciarono ad accompagnare i figli alla grotta che ormai tutti chiamavano Dolce Grotta Di Delizia e Goduria. Ovviamente cominciarono anche a portare vettovaglie in misura maggiore perché Otto, il giorno dei rifornimenti, potesse preparare leccornie a sufficienza per tutti.
La moglie di Gran Capo un giorno volle portare anche il marito alla grotta e, ovviamente, da quel giorno Gran Capo cominciò a guardare con aria schifata la costata di bufalo “Bruciata Di Sopra Cruda Di Sotto”, che costituiva il piatto forte della signora Gran Capo.
La signora Gran Capo, per mantenere la pace in famiglia, fu allora costretta a chiedere a Otto - sporgendosi pericolosamente sull’abisso - qualche semplice ricetta ma, sarà per i problemi di pronuncia di Otto, sarà che i Pick-a-nanny non sanno scrivere e la signora Gran Capo si dimenticò metà delle istruzioni, sarà che i Pick-a-nanny non conoscono nemmeno l’uso del forno, fatto sta che le cose per Gran Capo forse peggiorarono.
In effetti la Costata di orso Lessata alla Frutta fu proprio un disastro.
La signora Gran Capo disse allora piangendo al marito che se voleva che imparasse a cucinare, per imparare veramente bene doveva consentirle di scendere nella grotta per guardare Otto mentre preparava i suoi piatti.
Dovete sapere che nel frattempo quello che era successo con i Pick-a-nanny si era più o meno verificato con tutti gli altri e Otto scoprì che i Bimbi Smarriti erano golosi di dolci, patatine fritte e tortillas ai mirtilli, mentre i pirati, abituati a mangiare soprattutto pesce, andavano matti per quasi tutto e poi c’erano anche le sirene e il coccodrillo…
Le sirene, sentendo quegli odorini stuzzicanti portati dalla brezza fino alla Roccia del Teschio dove stavano sempre a pettinarsi, vennero incuriosite a nuotare sotto la grotta chiedendo a Otto di buttargli giù qualcosa, il che Otto, gentilissimo, fece puntualmente scoprendo (nessuno se lo sarebbe immaginato) che le sirene sono golosissime di lasagne! Ovviamente le sirene contraccambiavano portando enormi quantità di pesce fresco che Otto cucinava, scambiava o faceva essiccare.
Quando Uncino seppe da Spugna che Otto aveva fatto essiccare ed aveva anche affumicato alcuni salmoni catturati dalle sirene mentre stavano tornando verso i loro fiumi in Scozia, decise di andare a vedere personalmente come stavano le cose.
Otto aveva cominciato ad avere dei problemi con i rifiuti perché tutto quel cucinare certo, qualche problema lo creava. Dall’alto della grotta vedeva aggirarsi famelico il coccodrillo ed ebbe un’idea: tutti gli scarti di quei pasti prelibati lui li confezionava in una “Croky Bag” che calava con una fune giù sulla scogliera dove il coccodrillo attendeva a fauci aperte entusiasta.
In poco tempo la sommità della scogliera che si affacciava sulla Laguna delle Sirene, e che era il punto più romantico dell’isola, divenne un “Punto Franco” a tutti gli effetti: era infatti il territorio comune dove c’era l’unica prigione dell’isola e dove tutti avevano diritto di andare per controllare in santa pace che il prezioso prigioniero di tutti non fosse fuggito.
Quando la Signora Gran Capo disse che doveva assolutamente vedere come Otto cucinava e andò accompagnata dal marito alla Dolce Grotta Di Delizia e Goduria, quel giorno, casualmente, sulla radura, c’era metà tribù Pick-a-nanny che con una scusa o con l’altra si era allontanata dall’accampamento all’ora di pranzo, c’erano anche alcuni Bimbi Smarriti, c’era Uncino ( che aveva fatto sapere a Otto che da tempo sognava un Soufflé al Grand Marnier) accompagnato da Spugna, ed in basso c’erano anche le sirene e il coccodrillo che ben sapeva che quando vedeva lassù tanta gente, il suo Croky Bag era più gustoso.
La signora Gran Capo era di stazza piuttosto robusta e per calarla da Otto ci sarebbe voluto l’aiuto di cinque robusti guerrieri, ma, avevano appena cominciato a calarla, che sotto quel peso l’argano cominciò a cigolare e il coccodrillo aprì festoso la bocca ma, con suo grande dispiacere ( e grande dispiacere di almeno altre cinque signore Pick-a-nanny), la signora Gran Capo fu fatta precipitosamente risalire
Nell’inevitabile discussione che ne seguì, siccome l’incidente aveva rinviato il pranzo e tutti avevano una grandissima fame, si convenne frettolosamente che non solo di Otto ci si poteva fidare, ma non se ne poteva proprio fare a meno, perché ormai matrimoni, feste, compleanni e cene romantiche si festeggiavano tutti da Otto e tenere Otto nella grotta là sotto era una gran rottura di scatole per tutti.
Gran Capo e Uncino, come comandanti delle forze di pace, anche in assenza di Peter, si assunsero quindi la grave responsabilità di decidere di far scavare una scala nella roccia per consentire di rompere quell’isolamento che ormai non aveva più senso.
Comunicarono ai presenti quella decisione e tutti ne furono assai contenti e dicevano che Otto era straordinario, che “aveva qualcosa di più” e così, fra tutte quelle entusiastiche lodi, morì Octopus lo scienziato, e nacque trionfalmente “Otto-Plus” lo chef più straordinario e amato che mai mise mano a una torta e che potete trovare solo in un’isola di sogno come l’Isolachenoncè!
Cos’altro c’è da dire di Otto?
C’è da dire che un giorno Spugna, con la scusa di portargli le provviste, era andato ad assaggiare alcuni piatti speciali che aveva chiesto a Otto di preparare per lui.
Spugna, se poteva, in queste occasioni, quando c’erano manicaretti speciali, prelevava dalla cantina di bordo una buona bottiglia di vino (da dividere ovviamente con Otto) ma, recentemente, Uncino, che aveva visto misteriosamente assottigliarsi le sue preziose riserve, aveva messo tutto sotto chiave.
“Niente vino oggi, mi dispiace Otto!” esordì mestissimo Spugna sedendosi.
“Perké occi non profiamo a manciare kon pirra?” rispose Otto che da tempo aveva individuato nei boschi orzo e luppolo ed era ansioso di vedere se quella bevanda bionda che aveva preparato così a memoria gli era venuta buona come quella che faceva un tempo in Belgio un suo lontano zio frate trappista.
“Eccezionale, Otto, assolutamente eccezionale! Mai bevuta una birra così!!” disse Spugna dopo aver bevuto schioccando la lingua e togliendosi la schiuma dalle labbra con il dorso della mano.
“Ach, ma io kvi può fare molto ti più, se tu porta me pikkola pianta ti fite! Kvi sole pellissimo, terra puonissima, tutto perfetto per fare puonissimo fino!”
Naturalmente i vini di Otto, quando furono pronti, erano quanto di meglio potesse accompagnare le straordinarie pietanze che lui preparava e Uncino ebbe molte difficoltà a trattenere Spugna a bordo specie quando Otto imbottigliava il vino novello che è un vino che non va invecchiato e va consumato in fretta.
Spugna era troppo amico di Otto per consentire che tanto buon vino andasse a male e, quando si trattava di consumarlo in fretta era disposto a fare anche turni straordinari, magari trascurando qualche altro servizio a bordo…
Ovviamente, costruite le scale, Otto venne d’autorità trasferito in una splendida prigione in muratura che i suoi carcerieri avevano premurosamente costruito sul punto più panoramico della costa, dotandola della più bella e più completa cucina che si sia mai vista in una cella. Poiché tutti volevano poter controllare che Otto fosse effettivamente in cella, ed era difficile dare a tutti una chiave della prigione, l’unica chiave fu consegnata ad Otto con l’impegno che doveva aprire se qualcuno bussava, e fu un bussare continuo, specie all’ora dei pasti.
Occorreva dare anche un nome alla prigione e c’era chi (Peter, in particolare) voleva che il nome indicasse con chiarezza che era un luogo di detenzione, chi invece voleva (tutti gli altri) che il nome indicasse un piacevole luogo di ritrovo della comunità e poiché Peter (che ce la aveva ancora un poco con Otto) non voleva assolutamente cedere, si scelse una soluzione di compromesso e la prigione fu chiamata da tutti “OTTO’S BAR”.
Soltanto per dovere di cronaca occorre menzionare che Spugna sostenne a lungo la proposta di completare il nome della prigione e di chiamarla “OTTO’S WINE BAR”, ma questo avrebbe impedito ai bambini di frequentarla e la proposta, sia pure a malincuore, venne respinta.
Nessuno intanto abitava più nella Dolce Grotta di Delizie e Goduria, e quindi il vino che venne in seguito prodotto da Otto poté essere custodito amorosamente proprio nella grotta che, nella parte più in fondo era fresca, asciutta ed ombrosa proprio come ci vuole per questo genere di cose. Inutile dire che i maestri d’ascia della Jolly Roger predisposero con particolare rapidità e solerzia splendide botti di rovere, riservando però, per il loro capitano, il consueto “diritto d’assaggio”.
Di Otto resta da dire soltanto che non smise mai di scrivere e di annotare, sia pure solo su pelli di pecora e di bisonte. Restano di lui opere importanti come: “Cento modi di arrostire le bistecche da una parte sola alla maniera Pick-a-nanny”, “Crostate, torte e altri dolci dei Bimbi Smarriti”, “Mare e Monti, cosa mangiano le Sirene” e, soprattutto, l’opera fondamentale “Lo Strudel di Peter Pan e le Marmellate delle Fate”.
Questi fatti, però, come abbiamo già detto all’inizio, avvennero molti anni dopo la conclusione dell’epica guerra tra Peter e Lord Rubbish e, quindi ora, cari amici, abbandoniamo Octopus il traditore al suo triste destino, e riprendiamo la nostra storia dove l’avevamo lasciata.




giovedì 10 novembre 2011

Capitolo 12 - A Londra, a Londra!


“A Londra, a Londra! Dobbiamo correre subito a Londra!” insisteva Peter di fronte ad un Uncino apatico e distratto.
“E perché dovremmo andare a Londra, di grazia?” chiese per l’ennesima volta Uncino sbadigliando e mettendosi negligentemente a posto i pizzi del colletto della camicia.
“Perché quel cane di Lord Bryan sta producendo un’enorme quantità di polvere per volare e tornerà sicuramente qui all’isola con un esercito, e allora non potremo più contare sul fattore sorpresa…Quante volte te lo debbo dire?”
“Ma noooo! Vedrai che non torna, né mai consentirà che qualcuno ritorni…In fondo quel Lord Bryan è un eccellente Scarafaggio…” si lasciò sfuggire Uncino.
“Più che un eccellente scarafaggio è un grandissimo verme! Senti, Uncino! Otto mi dice che il conte ha un figlio che al posto del sangue ha il veleno distillato di cento vipere! Io andrò a Londra, anche se tu non verrai con me! Occorre almeno controllare quali sono i loro piani…A me lui aveva espressamente detto che questa era solo una prima ricognizione. Non vorrei ritrovarmi lo scarafaggio e i suoi scarafaggetti qui tra due settimane, armati fino ai denti…Adesso che Otto è prigioniero potremmo limitarci a distruggergli la macchina, i piani per costruirla e le scorte di polvere che avrà accumulato… Senza Otto non riusciranno mai a ricostruirla e l’isola sarà salva…
Giacomo, se mi accompagni, ti faccio cospargere di polvere di fata da Trilly e voliamo insieme subito a Londra! Non c’è tempo da perdere!”
Se c’era una cosa che Uncino aveva sempre desiderato era volare! Aveva sempre invidiato Peter quando lo vedeva arrivare dall’alto, piroettare tra le sartie del Jolly Roger e fare a nascondino dietro i pennoni…Era un’invidia profonda e viscerale che si trasformava ogni volta in odio impotente che lo travolgeva in un’ansia mortale!


Adesso avrebbe potuto volare…Volare anche lui…Avrebbe potuto volare forse anche …
Sapete già che Giacomo Uncino era inglese, educato in Inghilterra in qualche scuola prestigiosa e membro di una grande nobile famiglia da cui si era allontanato per dedicare la sua scellerata esistenza alla corsa sui mari…
“Potrò volare anche a Londra?” chiese alla fine Uncino titubante ma con occhi sognanti.
“Certamente!” rispose Peter che aveva già capito di avere vinto.
“E allora dì a questa affascinante donzella” – fece Uncino rivolto a Campanellino facendole un cerimonioso inchino – “che Giacomo Uncino invoca la sua polvere, attende il suo magico tocco capace di renderlo più leggero dell’aria e si inchina ai piedi di madamigella come uno schiavo devoto dicendo: Portami a Londra dolcissima Trilly e sarò tuo servo per sempre!”

“A Londra, a Londra, scappiamo subito a Londra!” avevano detto qualche ora prima anche Lord Bryan e i suoi uomini appena il misterioso salvatore li aveva lasciati, e subito avevano sfilato dalle comode tasche dello zaino “Overtherainbow” (confezione lusso) ognuno la propria preziosa bomboletta di Polvere Simil Fata Jones, e avevano preso la via di casa, umiliati e sconfitti.
Il viaggio del conte durò a lungo: è sempre difficile stabilire quanto durano i viaggi da e per l’isola, perché i giorni e le notti si susseguono con ritmo bizzarro, il tempo, gli stati d’animo, tutto influisce sulla durata, e gli stati d’animo del conte e dei suoi compagni non erano dei migliori, cupi e appesantiti com’erano dall’insuccesso.
Quello che si può dire è che tra la partenza trionfale e l’inglorioso ritorno di Lord Bryan, erano trascorsi cinque mesi.
Era una calda notte d’estate quella che vide il ritorno di Lord Bryan a Londra.
Il conte decise di dirigersi in primo luogo alla discarica che era un po’ il suo quartier generale anche per lasciarvi i suoi uomini e arrivando notò con sorpresa alcuni cambiamenti che, lì per lì, non fu in grado di valutare: dall’alto si vedeva il laboratorio inusualmente illuminato a giorno e un insolito via vai di grandi carri e carretti (questi ultimi spinti a mano dai piccoli orfani), che portavano enormi quantità di rifiuti al sintetizzatore alimentandolo a ciclo continuo. Inoltre tutto l’immenso perimetro della discarica era stranamente circondato da alte e cupe barriere di filo spinato intervallate da garitte dove uomini in divisa armati e muniti di potenti riflettori controllavano i confini.
All’interno della discarica, tra le garitte, c’erano anche numerose pattuglie di guardiani armati con cani al guinzaglio che perlustravano le cinte.
“Mortimer, figlio mio!”
“Padre!” fu un rapido abbraccio quello tra i due perché ognuno si sciolse ansioso di squadrare meglio l’altro che sembrava sicuramente cambiato dall’ultima volta che si erano visti.
Certo Lord Bryan appariva cambiato. La sua orgogliosa abituale sicurezza appariva più che scalfita dalla sconfitta ma, al termine del fedele ed onesto resoconto che fece al figlio delle sue gesta, e dopo aver raccontato anche del provvidenziale intervento dell’ignoto amico, sembrava rinfrancato:
“Beh, questa dell’isola è una storia conclusa! Ho promesso che non tornerò, e sarò di parola! Ma ci sono tante altre cose da fare! Invaderemo il mondo con il Riciclato Jones, anzi, ho visto che stai producendolo a ritmi sostenuti…Ho già in mente una straordinaria campagna di vendita e, se ci riesco, mi faccio dare anche un sussidio dal Governo per ogni scatoletta di Riciclato consegnata ai meno abbienti che non possono pagare…”
Dicendo queste cose, finita l’onda dei ricordi e tornato al presente, il conte cominciò a notare però i cambiamenti di Mortimer e dell’ambiente che lo circondava.
“Ma che è successo, qui, Mortimer?” chiese incuriosito alla fine.
Il conte notò sorpreso che il figlio indossava una cupa divisa scura e ai piedi calzava lucidi stivali di nerissimo cuoio e che l’unico elemento di colore del suo abbigliamento era una fascia bianca sul braccio sulla quale, in un cerchio rosso, erano scritte in nero le lettere “FF”, le iniziali del primo nome di famiglia.
Il conte, sempre più sorpreso, si accorse anche che negli angoli della stanza erano stati sistemati alcuni stendardi neri, rossi o bianchi che recavano tutti impresse le lettere “FF” e che, dietro le spalle di Mortimer, nell’ombra, c’erano Johnny il Fetido lavato e tirato a lucido, assieme ad un suo compagno. Entrambi sull’attenti, indossavano la stessa nera divisa di Mortimer con in più una fondina con pistola alla cinta.
“Ascoltami!” disse Mortimer alzandosi e andando verso di lui “Mentre eri via, qui sono cambiate molte cose! Mi avevi detto di “PENSARE GRANDE”? Ebbene io l’ho fatto! Ti sembra grande conquistare il mondo vendendo alla povera gente del puzzolentissimo cibo riciclato?
Il nostro sintetizzatore ci dà la polvere per volare, e con quella la possibilità di avere la supremazia dei cieli in caso di guerra e nessun esercito potrà mai competere con noi.
In queste ore la nostra macchina sta producendo ed immagazzinando le scorte di polvere che ci occorrono e subito dopo, sempre con il sintetizzatore, inizieremo a produrre armi, armi e solo armi. E’ con le armi che si conquista il mondo, non con il riciclato! Nessuno avrà da obiettare se le armi che produrremo avranno cattivo odore, né il soldato che le usa per vincere, né il nemico che ne viene colpito!
La nostra macchina riprodurrà qualunque arma, ha solo bisogno di essere alimentata con la spazzatura.
Ho già programmato tutta la nostra azione e, credimi, sarà una guerra lampo, il mondo cadrà ai nostri piedi.
Dovremo avere molti sintetizzatori in quasi tutti i paesi del globo, e prendendo gli appalti per la distruzione dei loro rifiuti costruiremo direttamente da loro le nostre armi, arruoleremo nei loro paesi personale per questo lavoro e lo addestreremo al volo e all’uso delle armi per una guerra che nessuno si aspetta e cui nessuno potrà resistere!
Dall’alto bombarderemo le loro città indifese, mitraglieremo i loro eserciti, distruggeremo le loro strade…”
“Ma le “loro” città di chi?” farfugliò il conte sconvolto.
“Le “loro” città, padre, le città di tutti, anche quelle degli inglesi naturalmente, almeno fino a quando non diventeranno le “nostre” città, le città dei Ffink Pfenninger Jones, quelle su cui eserciteremo il nostro dominio!”
“Mortimer!” – disse il conte stravolto – “ e il Re?”
“Re e regine? Puah! Sono tutti un maleodorante residuo del passato, padre! Rimuoveremo da tutto il mondo questi squallidi simulacri di un potere marcio e corrotto e li sostituiremo con un Nuovo Ordine che ubbidisca a regole nuove, a uomini nuovi…” – e rivolgendosi a Johnny il Fetido e al suo compagno – “Vero, ragazzi?”
“Grande Mortimer!” scattarono i due salutando militarmente.
“Riposo, ragazzi riposo…” disse magnanimo Mortimer andando di fronte al conte.
“E adesso diamoci da fare padre! Qui abbiamo già soldati perfettamente addestrati ed armati. Entro quattro giorni a partire da oggi, appena ti sarai riposato, tornerai con loro all’isola, la conquisterai, distruggerai ogni possibilità di resistenza interna e, soprattutto, libererai Octopus e lo riporterai qui.
Octopus è la nostra arma segreta, è l’unico che in poco tempo può far costruire decine di sintetizzatori e magari perfezionarli.
L’isola è importante: sarà la base dalla quale potremo operare senza che nessuno possa mai raggiungerci e lì accumuleremo i nostri tesori che porteremo via da ogni parte del mondo.
Bene, padre! Adesso sarai stanco! Hai fatto un lungo viaggio! Vatti a riposare…”
“Ma…Mortimer…” farfugliò il conte stravolto “Bombardare Londra…Rimuovere il Re!…Costruire un Nuovo Ordine!…Ma io amo l’Inghilterra, amo il mio Re…Questa storia non mi piace, Mortimer…E poi io non posso e non voglio nemmeno tornare all’isola né consentire a nessuno di tornarci perché l’ho giurato a chi mi ha liberato…Poi, anche se tu conquisti il mondo, poi dopo, come farai a mantenerlo questo Nuovo Ordine? Te lo sei chiesto? Per questo non puoi certo essere preparato!”
Mortmer incombeva adesso freddo e minaccioso sul padre che era rimasto seduto e lo guardava dall’alto senza alcuna espressione, con gli occhi parzialmente coperti da quella sua ciocca di unti capelli corvini.
“Mi dispiace molto di essere arrivati a questo punto, papà,” - disse dopo qualche istante di silenzio con voce gelida – “ma nel mio Nuovo Ordine non c’è posto né per gli sconfitti, né per chi non obbedisce, né per i traditori, né tanto meno per i disfattisti! Non avrei mai pensato di fare quello che mi costringi a fare, papà, ma non me ne dai scelta e poi, lo vedi,” – si guardò intorno cercando con lo sguardo gli occhi delle guardie –“io sono il capo qui e debbo necessariamente dare a tutti il buon esempio.
Johnny! Guilbert! Preparerete voi la spedizione all’isola assieme agli uomini che sono appena tornati con lui. Partiremo fra quattro giorni e vi guiderò io…
Quanto a lui, portatelo via! Che sia controllato a vista nel nostro palazzo di Belgravia e, mi raccomando, trattatelo bene, almeno finché lui si comporta bene!”.