martedì 22 novembre 2011

Capitolo 10 - Vittoria, perdono e tradimento



Peter volò al campo pellerossa, spiegò il suo piano al Gran Capo e debbo dire che, con molto poca delicatezza, raccontò nei dettagli non solo i progetti del conte, ma anche il ruolo di hostess che in futuro Lord Bryan avrebbe voluto assegnare a Giglio Tigrato in albergo.
I fieri occhi della bella principessa avvamparono a sentire quella storia. Debbo purtroppo dire che Peter nel raccontarla ne rise moltissimo e così il furore di Giglio Tigrato per quell’ulteriore umiliazione non riusciva proprio a placarsi tanto che chiese ed ottenne di partecipare all’attacco della sera dopo per strappare personalmente al conte lo scalpo.
Con molta leggerezza Peter purtroppo acconsentì alla sua richiesta, non accorgendosi che così stava tradendo l’impegno già assunto con Uncino.
La sera successiva Peter con i Bimbi Smarriti si presentò al campo di Lord Bryan dove fu accolto con mielosa cortesia dall’infido conte che adesso, oltre a vederli con la fantasia già lavorare gratuitamente carichi di sacche piene di palle e di mazze da golf, si apprestava ad ingaggiarli (sempre senza compenso), anche come scout.
Peter nell’avvicinarsi al campo rilevò quante sentinelle ci fossero e contò solo sei uomini. Ma né Lord Bryan né i suoi nutrivano, a dire il vero, proprio alcun sospetto: nei giorni precedenti infatti tutto era stato sempre calmo e tranquillo e nessuno li aveva mai infastiditi e così le sentinelle, adesso, sembravano tutte molto distratte.
Peter presentò i compagni, chiese del cibo proprio come aveva fatto la sera prima poi, quando vide tutti rilassati, propose di giocare insieme a pallone. Prima di ogni partita, disse Peter, i Bimbi Smarriti usavano abbracciarsi per gridare il loro inno e così, tutti abbracciati, gridarono forte, per sei volte “CHICCHIRICHI’” per segnalare ad Uncino e a Gran Capo che di guardia c’erano solo sei sentinelle.
Mentre tutti erano distratti dal gioco, pirati ed indiani strisciarono silenziosamente tra i cespugli e neutralizzarono con facilità le sentinelle. Ogni volta che ne uccidevano una, lanciavano a Peter il segnale convenuto facendo l’Ululato del Coyote Con La Spina Nella Zampa.
Quando Peter sentì risuonare per la sesta volta il lugubre ululato, sospese il gioco chiedendo il time-out e durante la sosta ognuno dei Bimbi Smarriti si avvicinò, come casualmente, ad uno degli invasori. Peter, ovviamente si pose accanto a Lord Bryan ed al momento giusto estrasse il pugnale e lo puntò alla gola del conte mentre gli altri facevano lo stesso, e gridò “CHICCHIRICHI’!” e al suo grido dall’ombra emerse un numero enorme di pirati e pellerossa che con la loro superiorità numerica schiacciante convinsero gli invasori a non tentare nemmeno il più piccolo gesto di ribellione.
Ma a turbare quella straordinaria vittoria che il piano di Peter aveva reso anche troppo facile, giunse come una furia Giglio Tigrato per compiere la sua vendetta.
Ma Uncino si pose tra lei e Lord Bryan sbarrandole il passo e afferrandole il polso:
“Fermati squaw!” – sibilò minacciosamente Uncino – “Quell’uomo è mio! Diglielo Peter!”
Fermare Giglio Tigrato non è impresa da poco e anche Peter Pan dovette chiedere l’intervento di Gran Capo per fermarla. Nessuno dei due contendenti voleva rinunciare al privilegio di decidere la sorte di Lord Bryan e così Peter decise che si sarebbero riuniti tutti l’indomani mattina per discutere tutti insieme della sorte dei prigionieri.
Un attento osservatore che fosse stato presente a quella drammatica scena avrebbe però potuto notare che Uncino aveva sempre evitato di mostrare il suo volto a Lord Bryan, e noi dobbiamo continuare a porci la domanda: perché si comportava così?
Peter, nel frattempo, non essendosi accorto dell’atteggiamento di Uncino, temeva che il conte e i suoi uomini, ancora coperti di polvere Simil Fata Jones, potessero fuggir via volando e quindi, per prima cosa, li fece legare come salami, poi divise le loro armi ed i loro beni tra pellerossa e pirati, e solo dopo ci si apprestò a festeggiare.
Uncino si avvicinò a Peter con il passo dinoccolato che aveva appreso nei suoi anni giovanili nella prestigiosa scuola che aveva frequentato prima di dedicarsi alla pirateria. Stringeva mollemente in mano un fazzoletto orlato di trine che agitava leziosamente davanti al volto come se fosse stato raffreddato (o lo faceva – direste voi - per non farsi riconoscere dal conte?), e parlò con aria annoiata:
“Peter, non vorrai certo festeggiare qui, bivaccando nella prateria! Nemmeno i pellerossa lo fanno! Legati come sono, questi topi di fogna non possono certo fuggire: lasciamoli qui e andiamocene a festeggiare la vittoria al villaggio dei Piccaninny e poi domani, dopo la riunione con il Gran Capo, taglieremo loro con calma la gola!”
Stavano per fare quello che Uncino aveva richiesto, che Octopus, che aveva ascoltato tutto, cominciò a gridare:
“ Peter, ti preko, in nome ti antika amicizia! Tu no lascia me qui! Io fatto kuesto zolo per tornare a Izola!”
Per capire il senso di quelle che furono poi le decisioni di Peter bisogna capire quali erano stati, a suo tempo, i rapporti tra i due.
Come tutti sanno Peter è stato allevato dalle fate e dagli uccelli, non ha mai avuto una mamma che lo portasse a scuola e quindi non ha mai imparato a leggere e scrivere. Anzi, il fatto di non essere mai stato a scuola costituisce per lui uno dei suoi massimi punti di orgoglio.
“Sanno leggere le fate? Sanno scrivere gli uccelli?” dice sollevando il nasino con aria stizzita quando qualcuno cerca di entrare in argomento “Fanno di conto le sirene?”
Il non andare a scuola è anzi uno dei punti fermi nel “credo” di Peter che vede nella scuola il primo e più terribile gradino della crescita: “Se i bambini quando crescono vanno a scuola vorrà dire che io non andrò mai a scuola, e quindi non crescerò mai!” era questo il terribile sillogismo (parola questa che adesso a scuola nemmeno insegnano più) con cui Peter rispondeva a chi gli parlava dei benefici dell’istruzione.
Peter però, proprio come gli uccelli che lo hanno allevato, è sempre stato dotato di una grandissima curiosità. E’ capace di stare per ore e ore a guardare un volatile di una razza a lui sconosciuta fare il suo nido, ed una volta, parlando ai Bimbi Smarriti, ha detto che lui conosce ben 4.256 modi diversi di fare un nido! C’è da domandarsi come sia arrivato a quel totale, visto che dichiara di non saper fare le addizioni, ma certo di modi per fare il nido deve conoscerne molti.
Peter passa anche ore a guardare le interminabili code di formiche che entrano ed escono da un formicaio e qualche volta il suo spirito di ricerca gli fa mettere dei sassi o dei fuscelli sui loro percorsi per vedere come reagiscono. Gli sforzi delle povere formiche, debbo ammettere, lo divertono molto poi, certo, non sapendo scrivere, non può fare un resoconto delle conclusioni scientifiche che ne ha tratto e quindi, non potendo fare alcun resoconto, quando comincia ad annoiarsi va a fare un’altra cosa.
Bene, direte voi, ma questo che c’entra con Otto?
C’entra nel senso che quando il piccolo Otto era uno dei bimbi smarriti nell’isola, lui e Peter erano sicuramente i due più curiosi del gruppo. La mamma di Otto, quando lui era piccolissimo, prima che fuggisse di casa, gli aveva insegnato un poco a scrivere e il piccolo Otto che faceva a gara con Peter nell’osservare il mondo, ad un certo punto aveva cominciato a scrivere i risultati delle sue osservazioni sulle pareti della casa sotterranea, sulle cortecce degli alberi, sulla sabbia del mare ed era molto dispiaciuto quando il vento o il mare cancellavano le sue osservazioni.
Peter invece era abituato a dimenticare, anzi, dimenticare era per lui un elemento di felicità ”Scoprire la bellezza di una cosa è una grande gioia” – diceva – “se io la dimentico, ebbene, ogni volta che la riscopro riprovo la stessa grande gioia della prima volta. Quindi dimentico le cose belle per essere più felice.
Il ricordo delle cose brutte, invece” – proseguiva – “rende infelici anche quando la cosa brutta è passata, quindi…dimentico anche quelle per non essere infelice!” concludeva.
Con due personaggi così curiosi, ma anche così diversi, potete immaginare i litigi che ci furono all’epoca tra Peter e il piccolo Otto la cui precoce mente scientifica era sempre portata a scrivere, classificare, confrontare…
Otto infatti, che annotava tutto, ogni tanto rimproverava Peter per certe sue affermazioni “Non è fero ke hai sconfitto ta zolo 50 pirati! Erano zolo 4 e ti aiutavo io, lo rikorto penitzimo perké l’ho scritto zu questa corteccia ti alpero…”
La cosa faceva sempre infuriare Peter:
“Da uno come te” - diceva Peter furibondo – “ci si può aspettare di tutto…Otto, stai attento! Se non cambi un giorno o l’altro finirai a scuola…”
Ma Otto continuava imperterrito a scrivere, annotare, classificare.
“Vedrai dove ti porterà la tua mania di scrivere e studiare!” gli diceva saggiamente Peter, e fu così che Peter temendo che le brutte attitudini di Otto fossero di cattivo esempio per gli altri Bimbi Smarriti non si lamentò affatto quando, con la ridicola scusa che aveva bisogno di un quaderno e una matita, Otto un giorno uscì dalla casa nell’albero e se ne andò.
“Imparerà a sue spese com’è fatto il mondo degli adulti!” aveva detto Peter agli altri alzando gli occhi al cielo.
Ed ora i casi della vita avevano voluto che proprio Otto gli capitasse davanti, colpevole, sconfitto, legato, esempio vivente (ancora per poco) di quanto Peter avesse avuto ragione.
Certo uno come Peter non poteva resistere alla terribile e tanto umana tentazione del “Te l’avevo detto, io!?”
Così, pur sapendo che non è affatto bello infierire sul nemico sconfitto, andò di fronte ad Octopus che continuava a piangere e a chiedere clemenza, e a gambe larghe e con le mani sui fianchi, gli sparò in viso il più terribile insulto di cui fosse capace:
“ Chiedi pietà? E invece meriteresti di essere lasciato proprio qui, SAPIENTONE! Quante volte ti ho detto che saresti finito male! Vedi come si rovina la gente a voler andare a scuola e a studiare?”
Dopo questa sfuriata tutti stavano guardando Peter che non poteva evitare di pronunciare pubblicamente la sua sentenza.
A questo punto però dobbiamo ricordare a tutti che Peter era nato in Inghilterra e che in lui il senso della giustizia non travalicava mai nello spirito di vendetta.
Le lacrime di Otto ne dimostravano l’avvenuto pentimento ed in fondo era questo che ogni buon giudice deve volere. Peter diceva sempre però che la giustizia oltre che redimere deve anche costituire un esempio per evitare che altri commettano gli stessi errori. Lì, davanti a tutti i Bimbi Smarriti, davanti ai pirati e ai Piccaninny schierati, Peter doveva quindi necessariamente pronunciare una sentenza esemplare salvando però la vita al povero Otto.
“Toglietegli di dosso la polvere per volare perché non possa fuggire,” – disse Peter dopo un attimo di riflessione – “poi scioglietegli i legami e scaraventatelo nell’Abisso degli Orrori! Ci resterai” – disse poi rivolto a Otto – “finché non avrai dimostrato il tuo effettivo pentimento!”
“No! L’Abisso no!”, “No, Peter, sii clemente, non nell’Abisso…”, “No, Peter, è troppo!”, così dissero in coro i Bimbi Smarriti ascoltando pronunciare quella sentenza con i volti stravolti dalla paura.
Nessuno di loro era mai stato nell’Abisso, ma ne conoscevano bene l’esistenza e l’ubicazione.
Ogni volta infatti che qualcuno di loro trasgrediva alle ferree regole di Peter questi guardava il colpevole negli occhi e diceva ”Attento! Se fai ancora così, ti mando nell’Abisso…”, oppure volando verso la Laguna delle Sirene, quando sorvolavano la parete scoscesa ed impervia che fronteggiava la Roccia del Teschio, additava l’ingresso di una grotta a mezza costa e diceva “Ragazzi, quello è l’Abisso. Attenti a quello che fate, sennò…”
Octopus però, pur essendo stato a lungo nell’isola, non aveva mai sentito parlare dell’Abisso. La soddisfazione comunque di sapere di aver avuto salva la vita gli faceva superare facilmente la paura dell’ignoto.
“Krazie Beter, non ti bentirai ti tua klemenza, krazie!” disse Otto mente due Bimbi Smarriti lo portavano subito in volo verso l’Abisso.
Risolto anche questo problema finalmente si poteva tutti andare al campo Piccaninny a festeggiare.
I festeggiamenti furono grandiosi: le squaw del campo avevano preparato tanti diversi succulenti arrosti serviti su foglie di mais, pannocchie arrostite, patate cotte sotto la cenere, tortillas condite con salse piccanti, patatine fritte, dolci al miele, banane arrostite con succo di lamponi e tanta tanta frutta che, chissà perché, i Bimbi Smarriti guardavano e facevano “Puah!”
Al pranzo non partecipava Giglio Tigrato, ancora infuriata per non aver potuto lavare nel sangue le offese ricevute da Lord Bryan, e molto presto anche Uncino, che non amava mai mischiarsi ai suoi uomini al momento dei festeggiamenti per il modo molto poco signorile con cui gozzovigliavano, si allontanò in silenzio, senza salutare nessuno.
Nella prateria intanto, Lord Bryan e i suoi uomini attendevano atterriti l’arrivo dell’alba dell’ultimo giorno della loro vita e si domandavano se mai l’avrebbero vista perché dal buio che li circondava giungevano agghiaccianti fruscii e alla luce incerta delle stelle potevano vedere le sagome minacciose dei predatori che si aggiravano famelici nella notte.
Quando era quasi l’alba, un’ombra più silenziosa e guardinga delle altre si avvicinò strisciando ai prigionieri e giunta nei loro pressi una figura umana si alzò repentina ed una mano afferrò i capelli di Lord Bryan che lanciò nel bavaglio un grido strozzato.
“Tu adesso vedere come Giglio Tigrato tratta turisti!” sibilò all’orecchio del conte una gelida voce femminile mentre l’altro braccio si alzava stringendo un pugnale “Tu adesso paga a tua hostess conto di albergo con scalpo!”.
“Pack!” fece il calcio di una pistola materializzatasi improvvisamente dal nulla, colpendola alla nuca e facendola afflosciare svenuta per terra.
Chi era il nuovo arrivato?
Una nuova ombra, avvolta in un nero mantello, torreggiava infatti sui prigionieri.
“Bryan!” – disse una voce il cui accento risultava familiare all’orecchio del conte – “Adesso taglierò i tuoi legami e quelli dei tuoi uomini, ma devi giurarmi sul tuo onore di Scarafaggio, che non tornerai mai più nell’isola!”
Chiedere a Lord Bryan di giurare sul suo onore era, come nella City tutti sapevano, come invitarlo espressamente a mentire, perché certo nessuno può chiedere mai ad un uomo d’affari di successo di dire la verità, come avevano imparato da tempo gli agenti del Fisco di Sua Maestà.
Ma sorprendentemente l’ombra aveva chiesto al conte di giurare “sul suo onore di Scarafaggio”: chi era dunque l’uomo misterioso che lo sovrastava nella notte? Come poteva quell’ombra sapere che il conte, a Oxford, aveva fatto parte dell’esclusivo e segretissimo club degli Scarafaggi, i cui impegni erano sigillati da un patto di sangue?
“Giura!” – incalzò l’ombra – “Dì: Giuro sul mio onore di Scarafaggio che non tornerò mai più nell’isola, né mai permetterò a nessuno di tornarci e che mai comunicherò ad alcuno la direzione da prendere per trovarla! Dì: Io, Bryan Ffink Pfenninger Jones, Scarafaggio di Prima Categoria, Membro della Segreta Confraternita Degli Scarafaggi, sul mio onore scarafaggesco LO GIURO! ”
Era proprio la formula dell’inviolabile giuramento rituale del club quella che l’ignoto gli stava recitando nella notte in un’isola il cui cielo ricolmo di stelle era così diverso da quello di Oxford, mentre intorno ululavano i coyotes.
E su quella formula il conte solennemente giurò, terrorizzato che Giglio Tigrato risvegliandosi lo trovasse ancora legato.
“Andate via, adesso! Avete ancora sufficiente polvere per volare?” chiese l’ignota figura.
“Noi tutti indossiamo eccellenti zaini “Overtherainbow Jones”, modello lusso, con otto comodi contenitori di riserva di speciale polvere Simil Fata Jones per volare sicuri!” rispose orgoglioso il conte “Ma io, piuttosto, chi debbo ringraziare?”
“Un amico” rispose la figura ritirandosi nell’ombra “Un amico…”



2 commenti:

  1. Oh, finalmente! Era un po' che s'aspettava!

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  2. Caro Mirko, spero che il capitolo ti sia piaciuto. Oggi ho pubblicato anche l'11°, fammi sapere cosa ne pensi, Max

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