mercoledì 30 novembre 2011

Capitolo 2 - William





Lord Bryan Ffink Pfenninger Jones sedeva pensieroso nel suo lussuoso studio di Belgravia, quando fu richiamato alla realtà dal maggiordomo:
”E’ venuto suo nipote, Milord. Il signorino William chiede se può essere ricevuto”
Mancavano cinque giorni a Natale e poteva darsi che William fosse venuto per spillargli quattrini e fu tentato di non riceverlo. Per altro, si disse, William aveva quasi diciassette anni, fra non molto sarebbe divenuto maggiorenne e avrebbe potuto cominciare a domandarsi come mai titolo e fortuna di famiglia fossero passati allo zio dopo la morte dei genitori.
Lord Bryan su questo punto era abbastanza fiducioso: i suoi legali avevano falsificato così bene i documenti, che il giovane William avrebbe avuto grosse difficoltà a trovare le prove dei suoi raggiri. Ciò che invece lo preoccupava erano la simpatia e il fascino che il nipote aveva ereditati dalla madre, che tutti ricordavano come la più affascinante signora d’Inghilterra: William era lo studente più “popular”di Eton (che frequentava grazie ad un lascito della madre), idolatrato dai suoi compagni ed era il mitico capitano della loro squadra di cricket. Il conte temeva che i suoi amici, tutti rampolli di grandi famiglie, si sarebbero fatti un giorno in quattro per lui e che fra poco, divenuti maggiorenni, avrebbero potuto rivelarsi più pericolosi di una legione di avvocati.
“Fallo entrare” disse allora al maggiordomo.
William entrò e la magia che aveva accompagnato sempre l’ingresso di sua madre in una stanza si ripeté ancora una volta per lui sotto gli occhi di Lord Bryan: sembrava infatti che un raggio di luce misterioso si accendesse sempre appena William varcava una porta attirando su di lui l’attenzione di tutti e che lo accompagnasse ovunque andava.
“Salve William, buon Natale” – bofonchiò il conte –“Qual buon vento ti mena? Non dovresti essere a Eton ?”
Il sorriso solare di William era quasi abbagliante: “Salve zio, sono venuto perché sono preoccupato per Betty”
Se William aveva un difetto quello era proprio la sua ingenuità: il venire a parlare con lo zio dei propri problemi o di quelli della sorella, era un errore che non avrebbe mai dovuto commettere. Lord Bryan invece, che aveva costruito il suo impero speculando su errori come questo, se ne rallegrò, annuì con aria di partecipazione, gli sorrise, gli andò a sedere più vicino e gorgogliò compiaciuto: “Parlamene, ragazzo, parlamene!”
La storia era semplice: Betty era sempre stata una sognatrice, ma adesso Miss Worksham l’aveva messa in camera con un’allieva, una certa Wendy Darling, che l’aveva convinta dell’esistenza di spiriti, folletti, pirati, pellirossa e sirene che vivevano in un’isola magica cui si accedeva volando.
“Beh, le ragazze credono spesso a questo genere di cose” disse un po’ deluso Lord Bryan.
“Oh, sì, le ragazze amano le favole” - disse William tirando fuori di tasca parecchi fogli di carta da lettere gualciti - “Il fatto è che questa Wendy l’ha invitata per le festività a Londra e le ha promesso di portarla dopo Natale nell’Isolachenoncè, dove andrebbero volando assieme ad un certo Peter Pan. Sono molto preoccupato, zio” – concluse William – “si leggono tante brutte storie sui giornali…Ho domandato in giro, ma nessuno conosce questi Darling…Voi siete il tutore di Betty…”
“Cosa sono quei fogli?” chiese palesemente più interessato lo zio: se risultava che Betty era veramente pazza poteva toglierla dalla scuola e risparmiare i soldi della retta. Inoltre la piccola era orfana e forse avrebbe anche potuto accoglierla in uno dei suoi orfanotrofi per seguire uno dei suoi famosi corsi di economia all’aperto.
Quando seppe che quella lettera conteneva le descrizioni dell’isola, le storie dei suoi abitanti, il percorso per raggiungerla in volo e tutte le altre fandonie su quel tale, Peter, che sarebbe venuto a Londra il 28 dicembre a prendere le bambine, Lord Bryan, se fosse stato il signor Darlig, sarebbe saltato in piedi a braccia alzate gridando “Urrah!”. Ma Lord Bryan era un esperto uomo d’affari e contenne la sua felicità. Doveva ottenere assolutamente quella lettera e poi avrebbe deciso la strada da percorrere. Si ricordò che Lord Bargain, giudice della Contea, gli aveva recentemente chiesto l’ennesimo favore che lui non gli aveva ancora fatto, non sapendo cosa chiedere in cambio. Forse, con quella lettera in mano, poteva ottenere dal suo amico giudice l’interdizione perpetua di Betty e l’affidamento a sé della piccina, e tenerla in ostaggio se William fosse divenuto un po’ troppo curioso…
“Oh,” –disse con aria preoccupata – “dammi quella lettera, William, farò fare subito un’indagine su questi Darling e ti farò sapere!”
In quel momento il telefono sulla scrivania dello zio squillò.
“Sì?”- chiese il conte e William fu in condizione di udire una voce dal pesante accento tedesco che diceva eccitata dall’altro capo del filo: “Funziona, Milort, funziona! Macchina funziona penissimo!”
“Veniamo subito!”- disse lo zio alzandosi eccitato e riattaccando con una mano la cornetta, mentre con l’altra strappava lestamente dalle dita di William la lettera.
“Mortimer! Mortimer!”-Lord Bryan chiamò il figlio mentre metteva nel cassetto la lettera di Betty e chiudendo subito a chiave.
Dopo poco la porta della stanza si socchiuse e da quello spiraglio sporse la testa da anguilla velenosa di Mortimer Ffink Pfenninger Jones.
Mortimer scivolò nella stanza proprio come l’anguilla di cui aveva l’aspetto: non camminava, strisciava, scivolava, sembrava camminare sempre di sbieco; istintivamente non camminava mai al centro di un ambiente, ma pareva misteriosamente attratto dagli angoli più bui, come se fosse risucchiato dalle zone meno illuminate.
I due cugini non potevano apparire più differenti: solare, biondo, affascinante il primo, livido e losco il secondo il cui sguardo sfuggente si mimetizzava ulteriormente sotto una rada frangetta di untuosi capelli neri.
Mortimer sorrise al cugino tenendo la testa inclinata da un lato e senza scoprire minimamente i denti ma solo stirando le labbra, e William si domandò se Mortimer i denti li avesse davvero.

Mortimer – si disse William – non aveva denti, né velenosi né non, ma era velenoso lui, tutto, dalla testa ai piedi. Se un cobra l’avesse morso, era il cobra che sarebbe morto fra atroci tormenti, mentre, se fosse stato Mortimer a voler uccidere qualcuno non sarebbe stato necessario che lo mordesse: gli
sarebbe bastato sfiorarlo.
“Mortimer” – disse eccitato lo zio al figlio – “ha telefonato Octopus: pare che questa volta la macchina funzioni davvero! Dobbiamo andare, preparati subito! Quanto a te” – disse al nipote – “dormi tranquillo caro William, mi occuperò io di Betty!”
Era tanto felice che dimenticò per un attimo l’antipatia che aveva per il nipote e spinse la sua generosità fino ad offrirgli un passaggio verso la stazione, ove mai fosse dovuto rientrare a Eton in serata.


4 commenti:

  1. Sbaglio o... questo William assomiglia un po' al William vero, il principe? :) carina come idea farlo come lui!

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  2. Ebbeme sì, l'ispirazione viene propio dal principe William. Scusami per il ritardo della risposta!

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  3. Ma che belle idee! Per ora mi piace molto!! G.

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  4. Grazie! Vai avanti e dimmi che ne pensi! :)

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