martedì 29 novembre 2011

Capitolo 3 - Lord Rubbish



La carrozza di lord Bryan lasciò Londra e si diresse verso l’aperta campagna.
Il veicolo, avvicinandosi alla discarica comunale, cominciò a superare sempre più frequentemente carri colmi di rifiuti e, pur mitigato dal freddo pungente, cominciò ad arrivare al naso degli occupanti la vettura anche un terribile tanfo che, più avanzavano, più diveniva intenso.
L’idea delle discariche era venuta a Lord Bryan così, per caso: aveva perso un paio di gemelli d’oro con brillanti e temeva che fossero finiti per errore tra i rifiuti. Aveva chiamato la servitù e, sotto i suoi occhi, aveva fatto rovistare i domestici tra la spazzatura rimanendo sconvolto dal vedere quante cose venivano gettate via con irrisoria facilità dai servi. Poiché i gemelli non erano stati trovati, si era informato dove fosse la discarica cittadina, vi si era recato e per tre giorni aveva fatto scavare i domestici senza trovare nulla, ma trovando conferma che tra la spazzatura c’era di tutto, bastava cercare.
Poi, ricordatosi che era anche proprietario di una vecchia miniera abbandonata, l’aveva affittata a prezzi esosi al Comune per scaricarci i rifiuti e, a quel punto, aveva avuto un vero colpo di genio: come fare a recuperare ferro, rame, stoffa, carta, legname che gli sciocchi londinesi gettavano con tanta facilità?
Gli orfani, certo, gli orfani! – si era detto - altro grande business quello degli orfani! In poco tempo aveva costituito due orfanotrofi e accolto centocinquanta orfanelli e andava in giro raccontando che faceva loro seguire un corso avanzato di economia. I ragazzi, diceva, lavoravano anche dieci ore al giorno all’aperto, a contatto con la natura, imparando veramente i sacri principi dell’economia che consistono in primo luogo nel non buttare ciò che può ancora servire.
Qualche volta gli veniva il dubbio che quel rovistare tra i rifiuti a mani nude, con il sole e con la pioggia, in estate ed in inverno, poteva anche non piacere ai ragazzi e la cosa un po’ gli dava fastidio. In effetti qualcuno di quegli ingrati, odiosi, piccoli scansafatiche scappava persino, e questo era un peccato anche perché le sovvenzioni pubbliche che riceveva consistevano in un tanto per ogni bambino e più ne scappavano, meno ne riceveva
La sua fertile mente di imprenditore aveva allora ideato la categoria dei “Sorveglianti Umanitari”. Ne aveva scelti quindici, grossi e nerboruti, guidati da un certo Johnny il Fetido, ad ognuno aveva assegnato dieci bambini, e li remunerava dando loro il 10% dei proventi ricavati dalla vendita del materiale recuperato (il 90% andava a lui e niente ai bambini, ovviamente). Certo, con questo incentivo, i Sorveglianti Umanitari a volte erano un po’ bruschi con i bambini: per farli lavorare di più e meglio, spesso li picchiavano, ma bisognava capirli, i ragazzi, in fondo dovevano imparare che tra i principi di economia c’era anche quello della divisione del lavoro.
Il fatto che i ragazzi lo avessero soprannominato Lord Rubbish non lo infastidiva affatto. C’erano già i “Signori del Carbone” e cominciavano a vedersi nella City ridicoli personaggi che vestivano sempre inguardabili caffettani e che erano chiamati “I Nuovi Signori Del Petrolio”, liquido nero questo, orribile, che puzzava più dei suoi rifiuti. Si offendevano loro? Certamente no! Perché avrebbe dovuto offendersi lui?
E poi, al limite, erano i ragazzi a doversi vergognare di mancare di rispetto nei confronti di uno dei massimi benefattori dell’umanità, perché, bisogna dirlo, Bryan Ffink Pfenninger Jones era un grande benefattore, così, almeno, aveva scritto il “Times”!
A dire il vero il “Times” non parlava proprio di lui: se il conte aveva capito bene dal titolo dell’articolo e dalle prime sedici righe (raramente ne leggeva di più), secondo le teorie di uno studioso apparentemente molto apprezzato nella City (un tale Adam Smith, se ricordava bene), in un sistema di libero mercato un imprenditore che produce ricchezza non lavora solo per sé, ma arricchisce tutto il sistema, fa lavorare la gente, produce e spende di più.
E’, in altre parole, un benefattore dell’umanità.
Ora, siccome l’Inghilterra era un libero mercato e lui era l’uomo più ricco d’Inghilterra, ne conseguiva che lui era il massimo benefattore del Regno! Questa certezza, giuntagli dalle pagine del più autorevole quotidiano del paese l’aveva fortunatamente sollevato da tutti i piccoli dubbi che ogni tanto l’avevano attraversato, perché lui non era cattivo - si ripeteva adesso orgoglioso - lui non era un cinico bastardo (come dicevano tanti), a lui piaceva solo fare affari come a un bambino piace giocare, e il bello del giocare in borsa e nella City era che se l’affare andava bene si diveniva pure benefattori!
Poi un giorno aveva conosciuto il geniale Dr Otto Kohops, che lui aveva ribattezzato umoristicamente Octopus, perché aveva mani sempre in movimento alla frenetica ricerca di fogli, foglietti, matite, pipa, orologio e quant’altro, e le muoveva così febbrilmente che sembravano più di due.
Otto che era maestro di quelle che Lord Rubbish chiamava benevolmente “Scienze Confuse”, aveva sedotto Lord Rubbish con l’idea del “Sintetizzatore”, una macchina che, a suo dire, avrebbe dovuto essere capace di estrarre dai rifiuti gli elementi chimici relativi ad un dato campione e di riprodurlo.
Lord Rubbish con la fantasia già vedeva Il Sintetizzatore, situato fra due giganteschi nastri trasportatori: su di uno venivano scaricati i rifiuti di Londra, mentre dall’altro uscivano scatolette piene di fagioli, di pomodori, cespi di insalata e di ogni altro ben di Dio. Pensare di fare soldi utilizzando ciò che era comunque pagato per distruggere era un’idea che non lo faceva dormire la notte.
Sognava questo genere di cose ad occhi aperti, commosso soprattutto al pensiero di tanta immondizia che poteva recuperare per darla da mangiare ai poveri affamati che vedeva all’angolo delle strade. Certo, si sarebbe fatto pagare anche da loro, magari poco, ma si sarebbe fatto pagare perché se andava avanti quella storia dei sussidi troppo facilmente concessi ai poveri (tanto caldeggiata da molti politici dell’opposizione), avrebbe potuto infiacchire pericolosamente il sano spirito laborioso degli inglesi.
In mezzo all’enorme discarica di Londra c’era il suo laboratorio segreto dove aveva confinato il Dr Kohops, il quale, poveretto, faceva i suoi esperimenti tenendo sempre il naso chiuso da una molletta da bucato per non sentire la puzza. “Uscirà di qui” – gli aveva detto tra il serio e il faceto – “quando la sua macchina funzionerà!” e, ora con una scusa, ora con un’altra, gli aveva sempre impedito di lasciare il laboratorio.
Dopo tante prove della macchina solo parzialmente riuscite, il conte stava diventando impaziente e cominciava a pensare che forse non bastava più confinare il professore tra i rifiuti… Forse bisognava stimolarlo in altro modo… Forse sarebbe stato opportuno farcelo vagare proprio tra i rifiuti, una o due notti, d’estate, e magari anche con un una bella luna piena che illuminava meglio i ratti e che faceva divenire l’ululato dei cani randagi sempre più forte…
Erano questa attenta cura dei particolari e questa capacità di motivare collaboratori e dipendenti che, unite allo straordinario intuito che aveva negli affari, avevano fatto di Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones l’uomo più ricco del Regno.
Avvicinandosi ulteriormente la vettura alla discarica, incontravano anche gruppetti di bambini dai sei agli undici anni, ognuno dei quali spingeva faticosamente un carrettino pieno di rottami e che erano seguiti da grossi omaccioni che salutavano Lord Rubbish, sollevando rispettosamente i loro nodosi bastoni.
Finalmente arrivarono al laboratorio. “Professore!” – salutò festosamente il conte – “Allora, ci siamo riusciti?”
“Ja, ja! Fenca, fenca, faccio fetere!”
La pronuncia, già difficilmente comprensibile per il pesante accento teutonico, risultava appesantita dai suoni nasali causati dalla molletta che chiudeva il naso del professore.
Nel capannone l’enorme macchina ansava e sbuffava: da un lato entravano i rifiuti e da un altro un rullo faceva uscire, ben allineati, barattoli di fagioli, di pomodoro, di frutta sciroppata, i cui esemplari-campione erano ben visibili sotto una gigantesca campana di vetro. I barattoli già duplicati sembravano assolutamente perfetti, ed anche le etichette sembravano identiche agli originali…
“Eccellente, professore! L’esterno è magnifico… e dentro?”
“Tentro uquale! contenuto chimico itentico a oricinale, -rispose il professore – “ja! Solo…”
“Solo che?”, domandò aggressivamente il conte, “Non mi avrà fatto venire qui per farmi assistere ad un ennesimo fallimento, spero?”
“Octopus” - intervenne calma e velenosa la voce di Mortimer - “se quel cibo è così bello e così sano come dice, ne mangi un po’ lei, subito, adesso, da bravo, ci faccia vedere, ne prenda un pochino da ogni barattolo!”
“Eccellente Mortimer, ottima idea, mangi professore,” approvò il conte “sì, ci faccia vedere!”
“Jaaa…” - squittì il povero Octopus - “io potrei anche manciare…Solo…”
“MANGI!!!”, ordinarono insieme padre e figlio, ed il professore fu costretto a mangiare Riciclato Jones, nelle versioni: Speciale Fagioli, Speciale Pancetta, Speciale alla Frutta.
Quand’ebbe terminato, Mortimer domandò sadicamente: “E allora, cos’era che non andava, professore?”
“E’ che cibo che esce ti macchina…putza! Senza molletta su naso nein manciare!” gridò il povero Otto.
“Tutto qui?”, domandò tranquillo lord Rubbish “Questi poveri che si lamentano sempre tanto, non penseranno mica che gli vendiamo caviale e champagne! Vogliono del cibo sano e nutriente a buon prezzo? Lo avranno, puzzerà un po’, ma se avranno veramente fame vedrà, professore, alla fine lo compreranno…
Del resto, anche io da bambino odiavo gli spinaci e la mia tata mi diceva sempre: ”Bryan, turati il naso, fai il bravo bambino e mangiali, poi, per premio ti porto alle giostre!”, e io li mangiavo!”
A quel ricordo il volto del conte si illuminò: “ Faremo come la mia tata! A chi comprerà tre barattoli di Riciclato Jones daremo in omaggio una molletta da naso come la sua per non sentire il cattivo odore… Anzi, faremo disegnare la molletta da qualche noto designer e le faremo blu per papà, rosse per mamma, rosa per le femminucce e celesti per i maschietti…
Io, sarò il primo testimonial della molletta: quando andrò in Parlamento e parlerà l’opposizione metterò la mia molletta e sul Times farò scrivere in prima pagina “anche Lord Bryan Ffink Pfenniger Jones può ascoltare l’opposizione senza vomitare, ma solo perché si è turato il naso con la sua speciale molletta per alimenti… Che eccellente pubblicità gratuita!...”
Come tutti i grandi uomini, il conte aveva consapevolezza dell’importanza storica del momento che stavano vivendo e sentiva che le parole che stavano per fuoriuscirgli dal petto sarebbero state tramandate per generazioni. Aveva infatti l’intima certezza che quella notte finiva la famiglia Ffink Pfenniger Jones e nasceva una Dinastia e che le dichiarazioni del Capostipite sarebbero state ricordate dai posteri.
“Figliolo” - disse il conte avvicinandosi alla finestra con Mortimer e guardando orgoglioso la discarica illuminata dalla luna - “pensa, un giorno, tutto quello che vedi” - e fece un largo gesto con la sinistra indicando quel superbo spettacolo mentre poggiava la destra sulle spalle di Mortimer - “ tutto questo– ripeté -sarà tuo! In ogni grande città del mondo, là dove c’è immondizia ci saremo noi!
Ma ti garantisco, figliolo, che verrà un giorno, e forse io allora non ci sarò più, in cui elimineremo la puzza e in cui potremo produrre qualunque cosa, anche diamanti più grandi e belli di quelli di quell’antipatico di De Beers…
Saremo la più grande potenza economica del mondo, figliolo, e sarai tu a guidarla! “
Lord Bryan rimase per un attimo in silenzio, poi si riscosse dalle sue visioni, tolse il braccio dalle spalle del figlio e, tutto allegro, disse:
“Oggi è veramente un giorno di sogno e di sogni! Oggi i miei sogni si esaudiscono tutti! Anche quello, pensate, di liberarmi definitivamente di William e di Betty, e il destino vuole che la mia arma siano proprio i sogni di Betty!
Noi qui sognamo la conquista del mondo e – pensate - lei sogna Peter Pan e l’Isolachenoncè!”
“PETER PANN?!? ISOLACHENONCE’!?! CHI DICE SOGNA QUESTE COSE?” esclamò eccitatissimo il prof. Kohops, con l’accento più nasale che mai: “Questo no sogno, questo verissimo milort!”
“Professore, cosa dice?” disse Lord Bryan “come può esistere un’Isolachenoncè? Come si può pensare di volare per raggiungerla?”
Ma il povero professore non poteva rispondere perché si era messo a piangere disperatamente.
“Ma insomma, professore, che storia è questa? Perché piange?”
Per quanto possa essere difficile crederlo, il professore narrò che quando era bambino, era stato con Peter Pan nell’isola tra i Bimbi Smarriti. Poi però aveva voluto crescere e Peter lo aveva allontanato dall’isola.
Quanto se ne era pentito, quante volte avrebbe voluto tornare, ma – spiegò fra cocenti singhiozzi - nessuno può tornare all’Isolachenoncé senza il permesso di Peter e senza la polvere di fata.
Penserete che sarebbe stato impossibile convincere Lord Bryan di una cosa così incredibile, ma, alla fine, Octopus quasi ci riuscì.
“In Isola, nicht sporco, tutto puro, tutto bello, tutto pulito... – concluse speranzoso il professore - Perché noi non andare su Isola, milort?”
E qui, non ci crederete, ma si svolse tra lord Bryan ed il professor un assurdo brevissimo dialogo le cui conseguenze furono imprevedibili.
“Sì, professore, ma come vorrebbe tornare lei in quell’isola?”
“Facile, milort: basta volare!”
“Ho, capito – rispose il conte spazientito – e come si fa a volare?”
“Ancora più facile: basta afere polvere ti fata!”
“E come si fa, maledizione! – ruggì Lord Rubbish, la cui pazienza era stata messa tante volte a dura prova dalle strampalate teorie di Octopus – ad avere la polvere di fata?”
“Adesso con mia nuova grante invenzione tutto semplice: si prende fata, e si mette dentro sintetizzatore!” e questo, per il conte, mise fine alla conversazione: se, come era probabile, la storia di Betty e di quel visionario di Octopus si rivelava una fandonia, lui avrebbe avuto comunque in mano le armi per togliersi definitivamente di torno i nipoti; se, invece, quel Peter veniva veramente a prenderle, voleva dire che avrebbe avuto con sé veramente la polvere di fata….
Ora la prima cosa da fare era tornare a Londra, e leggere la lettera di Betty.


4 commenti:

  1. Sono ansioso di rivedere Capitan Uncino e Peter!

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  2. ma che figata il sintetizzatore di polvere di fata! lo voglio anch'io!!! Se vedete Octopus ditegli di contattarmi, mi chiamo jonathan!

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  3. Ciao Jonathan, appena vedrò Octopus, riferirò il tuo messaggio! ;)

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